28 febbraio – Buona domenica

Tutto dipende da un fattore. Tutto inteso, ciò che ho in mente di fare oggi, varia a seconda di una minuscola dinamica il cui verificarsi, mio malgrado, può essere appurato solo al risveglio. Sono le 5.30 e ho promesso a Junior che sarei andato a messa con lui per poi giocare a pallacanestro. Ho cortesemente chiesto a Marlise proprio ieri sera che mi lasciasse le chiavi. Già… Marlise… l’ho salutata poco prima di andare  a coricarmi, verso le 23. Certo che alzarsi alle 5.30 così per così, per la parola data ad uno sconosciuto, non è proprio semplice. Non è che avrei molta voglia. Ma spesso le giornate che iniziano con il piede sbagliato si rivelano le più appaganti. Ho detto spesso non sempre! Oggi no infatti. Mi sciacquo il muso violentemente cercando di accelerare i processi neuronali ancora assopiti dalla sonnolenza. Mi sfrego l’asciugamano sulle guance con quanta più forza dispongo per tentare di staccarmi il peso del mattino dal viso. 5.35. Dunque le chiavi, le chiavi… le chiavi non ci sono, chiaramente. Marlise si è dimenticata, avevate dubbi? Il bello è che nemmeno io ne avevo eppure ci ho creduto per un attimo. La mia indole di sognatore senza speranze mi gioca ancora scherzi del genere. Buongiorno a me!  Mi rimetto a letto. Christian si sveglia sempre presto, magari faccio in tempo a raggiungere Junior, se non per la messa, almeno per la partita, verso le 7. Ho detto sempre? Oggi è domenica ed il mio amico corpulento è stanco e affaticato dal sabato trascorso al parco con i pargoletti. Sarebbe un sacrilegio svegliarlo. Russa della grossa. Lungi da me interrompere tale sinfonia. Invio un messaggio al dottor Alberto: “sono mortificato, non ho le chiavi di casa e non potrò raggiungere Junior come stabilito. Gli porti le mie scuse, vedrò di rimediare”.
Ma cosa si può dedurre da una comunicazione del genere? A) sono un cretino prigioniero in casa mia, l’ultimo che si è auto sequestrato è stato Lapo Elkhan tanto per capirci, B) mando avanti il padre di Junior per scusarsi al posto mio, il danno e anche la beffa! Ma che pirla! Junior penserà che si tratta dell’ennesimo bugiardo che si finge simpatico con lui per poi dargli buca o capirà che sono solo bigolo? Lo scopriremo nelle prossime puntate. Nel mentre i sensi di colpa mi avvolgono e resto nel letto a rigirarmi su me stesso fino alle 8. Come ogni frustrato che si rispetti, per rimediare alle mie malefatte devo conseguentemente fare del bene a casaccio, senza pretesto, verso il prossimo. Un po’ come quei manager che fanno l’elemosina da 20€ ai barboni in stazione centrale prima di varcare le porte dell’ufficio e massacrare il personale per 8 o 10 ore di seguito. Metto a fare il te, scaldo il pane, preparo il burro e la marmellata. Colazione da campioni per il fortunato Christian che si trova di passaggio proprio nel mezzo di uno dei miei momenti filantropici. Afferra una fetta, spalma il burro e balza a piè pari la confettura. Non mi è uscita bene nemmeno questa. Alle 9.30 indossiamo la camicia della festa pronti per il rito religioso. Una folla coloratissima lascia il posto ai fedeli delle 10. Fedeli in senso stretto ma anche in senso lato, ovvero affezionati alla celebrazione di metà mattina. Il prete incomincia ad intrattenerci, ma con scarso risultato. Il microfono non va ed il suo basso tono di voce non aiuta. Osservo in silenzio la massa ammutolita. Qualcuno comincia già a socchiudere le palpebre. Dei ritardatari vengono lasciati fuori dalla porta ad aspettare il momento propizio per accomodarsi. Lo staff addetto alla sicurezza è operativo. Curiosamente questa situazione mi fa pensare alla politica. C’è un uomo che parla, in veste di rappresentante, e molta gente che ascolta. Non molti comprendono, anzi pochi, ma nessuno contesta, non c’è voce tra loro che dica di alzare il volume o spiegarsi meglio, in tono più chiaro. Perché mi chiedo? Il rispetto e il timore reverenziale nei confronti dell’autorità, l’intimidazione che giunge da una carica importante e da qualche titolo di studio appeso a un muro? Ma forse non è solo questo. Forse siamo anche molto empatici e insicuri. Voglio dire, se qualcuno trovasse fastidioso non afferrare una parola di tutto il discorso sicuramente lo farebbe presente! Perché allora dovrei essere io ad alzare la mano e rovinare il momento alla collettività? Sarà per codardia ma è anche vero che usiamo come scusa delle nostre omissioni il preoccuparci per gli altri. Magari non è azzardato affermare che non ce ne frega niente, magari ci interesserebbe la politica e, se alcuni tra noi mostrassero la stessa inclinazione, forse avremmo più coraggio nel pretendere, ad esempio, il diritto di capire o di avere spiegazioni. Perché come individui siamo un po’ smidollati, ma nell’insieme ci sentiamo forti, leonini, spavaldi. Un’altra cosa mi colpisce piacevolmente. Indovinate chi, tra tutti, non esita a far sentire la propria voce, non indugia ad esprimere le proprie necessità malgrado il contesto serio e formale della messa? I bambini naturalmente! Loro si che sono liberi, slegati dalla logica dei galatei e dei formalismi, privi delle paranoie che inducono gli adulti a tenere un comportamento piuttosto che un altro. Potrebbe trattarsi del papa in persona, Carlo Magno imperatore o Putin che non farebbe alcuna differenza. Il loro miagolio squilla e rimbomba nei riverberi dell’alto soffitto. Sono come piccoli gemiti, vagiti di fame o di sonno. State bene attenti. La guardia addetta al controllo dell’ordine pubblico si avvicina alle mamme e le invita ad uscire. Certo, perché il problema non è un prete che parla a stento e di cui non si capisce un acca, ma sono i neonati e le loro brillanti pretese a fare confusione. Ennesima delusione. Constato che è più facile fare gli adulti con i piccini anziché con i grandi. Ci vuol fegato ad interrompere l’omelia e gridare ad esempio: “non si sente un beneamato!”, ne serve meno invece, per svegliare un bimbo di 8 anni che si è addormentato sulla panchetta. Eppure ricordo di aver letto da qualche parte qualcosa tipo: “quello che farete anche al più piccolo dei miei fratelli lo avrete fatto a me!”. Chissà con che criteri viene selezionato lo staff. È sempre interessante osservare come l’autorità (in qualunque forma) trovi sfogo all’interno delle gerarchie in cui i più forti si rivalgono sui più deboli. Mi sta proprio antipatico questo tizio, mo mi alzo! Pirandello diceva che un personaggio può sempre essere qualcuno mentre un uomo può anche non essere nessuno. Mi sa tanto che me la sto prendendo con un nessuno. Dovremmo smetterla di arrabbiarci con i vari nessuno di turno e iniziare a presentare le nostre rimostranze finalmente a qualcuno! Non ne vale la pena. Davanti a me un ragazzetto di 4 anni viene ripreso dal fratellino di 7, un uomo seduto nella fila di fronte si gira e sgrida entrambi per il caos. Uno schema piramidale basato sulla gerontocrazia. Più sei vecchio e rigido (bacucco) più hai potere! Paradossale. Invecchiare è naturale, diventare vecchi (nella mente e nello spirito), è quello che mi preoccupa. Adesso mi arrabbio sul serio. Vorrei organizzare una rivoluzione socio culturale non violenta e spiegare al mondo che sta cosa che chi c’ha polso è “cool” è una vera idiozia e che la grandezza d’animo si rivela nella gentilezza e nella pazienza. Respiro. Sospiro. Forse non è il caso di infiammarsi così tanto in chiesa. Se fossi al bancone di un bar, nel retro bottega di una qualche bisca seduto al tavolo verde con dei brutti ceffi o, ancora, avvolto nel sudore e nell’appiccicume delle lenzuola di cotone grezzo di un qualche bordello pregno degli umori maleodoranti dei falsi amori consumati, allora potrei progettare la mia rivolta. Ma qui no, non è il luogo adatto. Christian si gira verso di me: “non capisco bene!”. Benvenuto nel club fratello! Rientrati a casa il mio socio mi annuncia di doversi assentare per far saldare il paraurti della nostra “Ferrari” un tantino traballante. Ne approfitterà per pranzare in famiglia. Lo congedo, ho la casa tutta per me. Ho voglia di cucinarmi qualcosa di leggero e gustoso. Iniziamo con la regola dello “svuotafrigo”. Dunque fagioli bianchi avanzati, bene, pomodori, cipolla rossa del nord, un pugno di riso bianco… ananas fresco per dessert. Mi pare che basti. Non è facile adattarsi alle condizioni alberghiere africane. Punto primo devi cucinare con moltissimo olio, non esistendo le padelle antiaderenti come si deve (almeno non nella nostra cucina) o si utilizza un grasso per ungere la superficie oppure si ottiene l’incrostazione delle stoviglie e la bruciatura delle pietanze. Punto secondo i fuochi non sono facili da gestire. Le pentole sono talmente sottili da scaldarsi velocemente ma, a differenza delle nostre che normalmente mantengono una temperatura massima di cottura, qui più le si lascia sul fuoco più queste si scaldano. Non sembro un cuoco ma ricordo vagamente un suonatore di xilofono: allontano e riavvicino le pentole dalle fiamme per regolarne il calore. Morale ho quasi gremato il sugo, ci è mancato un soffio. Come primo tentativo, ad ogni modo, posso dirmi soddisfatto, ho preparato tutto ai limiti della decenza. Voto 7. Anche lavare le pentole non è proprio scontato, Marlise ha attaccato uno straccio con delle puntine al bordo del lavandino per coprire lo spazio vuoto sotto al ripiano. Ci finisco sopra con il pube… dolore estremo! Mi vien voglia di scaraventare la pentola dalla finestra. Cos’è che dicevo? Calma e pazienza? Inspirare, respirare, sembro uscito da un corso pre maman… imbarazzante. Trovo sollievo poco dopo, intingendo il mio pennello (da barba!) nella schiuma. Una rasatura perfetta e una lavata di grugno con questo caldo non può che tonificare il corpo e la mente. Sono ormai le 17. Christian si palesa alle 19. È in gaina (non nel senso di ubriaco) e vuole pulire la macchina, c’è troppa polvere, a distanza di una settimana i frantumi rimasti del vetro rotto si scorgono ancora qua e là. Vorrei aiutarlo ma mi sembra agire con un metodo collaudato che non vorrei mai intralciare. Mi ricorda me ai fornelli. Normalmente abituato a spentolare in solitaria faccio fatica a lasciarmi aiutare, scettico e convinto di essere più rapido con due mani anziché con 4 o più. Solo dopo mi accorgo quasi sempre che è davvero utile e proficuo approfittare della fatica altrui. In qualche maniere strappo un secchio di mano al buon Christian e mi offro di riempire il recipiente per il risciacquo finale. Su un’ora di lavoro avrò contribuito 10 minuti, ma per la mia goffa timidezza in questi frangenti è già qualcosa. “Che ne dici, ti va una birra?”. Non è uomo da rifiutare una proposta simile. Siamo entrambi in infradito, pantaloncini e maglietta. “Io non mi cambio!” “Io nemmeno!”. L’evasione (il bar) è proprio di fronte a casa, sembriamo Travolta e Jackson dopo l’intervento di mr. Wolf in Pulp Fiction, tradotto: 2 cazz*ni. Per lui Guinness, per me Isenbeck e che siano giacciate per piacere! La luna piena splende proprio in direzione opposta alle nostre zucche pelate. Chissà, forse qualche forma di vita extraterrestre sta captando il bagliore che riflettiamo con il cranio fraintendendo un qualche segnale in codice. Se dovesse atterrare un ufo dalle nostre parti, conoscete il motivo!
L’aria del fine settimana raccoglie a se gli ultimi superstiti del week end, il bar si svuota, le strade cominciano a tacere, la venditrice di pesce grigliato chiude i battenti. Il proprietario del locale ne approfitta per tirare il fiato. Il tondo e splendido satellite pare essere l’unico a non avvertire il passare del tempo, almeno non sta sera. Qualche randagio va in cerca di cibo, solleva gli occhi languidi verso di noi senza trovare ristoro né soddisfazione. Una moto passa in lontananza, l’ultima. “Rientriamo?”. Non c’è modo migliore di celebrare una lunga giornata se non con un degno riposo.

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