26 febbraio – Uomo nel mirino

Chi dice che a stare a casa ci si annoia? Probabilmente qualcuno che non è mai uscito in Africa. Dopo vi chiarisco la storia. Mi sono svegliato ancora pieno raso dalla cena a casa del dottor Alberto. Christian è ancora in camera sua, ci vuole un caffè per digerire definitivamente l’abbondante pasto. Marlise vuole portarmi dalla sarta per prendere le misure, è decisa a farmi partire con le mie camicie nuove già in borsa. E sia. Sotto il sole cocente ci dirigiamo a casa della donna, sua amica da sempre. Ci spalanca il portone rosso una signora distinta, porta un vestito nero con delle decorazioni bianche, ha i capelli corti a cespuglio, i quali stondano e smussano le geometrie del capo, quasi perfettamente sferico. A distrarre l’occhio dal pigmento scuro della carnagione, sono un paio di occhiali dalla montatura bicolore, nera e bianca. Le lenti mostrano dei riflessi violacei al sole.

Nel complesso Onorinn, così si chiama, ha un aspetto eccentrico nel minimo, ricercato ed elegante. La sua vociona forte è quella tipica delle femmine di qui, ne rispecchia il possente carattere e la tenace personalità, non rende però tanta giustizia al corpo ancora aggraziato e ben tornito per la sua età. Il suo atelier è molto impolverato, ci domanda di attendere cortesemente sulla soglia. Sono 2 settimane che non apre i battenti, avendo viaggiato a sud per il funerale di un parente stretto. Il costo della vita nelle grandi città è assurdo, inaccettabile, è molto contenta di essere di nuovo nelle “sue zone”. “Mangiamo bene noi a casa nostra!” Esclama convinta. Sfodero i campioni dai pantoni “afritude”. La donna si esalta, a detta sua ho buon gusto. Riconosce anche il disegno dell’Aquila d’oro, un motivo che esiste da più di 20 anni e che è in continua ristampa, quello che noi definiremmo un evergreen. Non mi entusiasma molto ma ho fiducia nelle arti della signora che potrà certamente fabbricare qualche cosa di, almeno spero, decoroso. Mi sbottono e mi sottopongo al rituale del metro. Sotto la lente violacea l’occhio attento misura mentre l’altra mano, afferrato il lapis, riporta fedelmente i numeri su carta. Marlise ha pane per i suoi denti, la conversazione tra loro è animata e sostenuta.

Queste sono un’arma letale in coppia, chi le ferma più? Non avrei voglia di ascoltare le loro storie ma in fondo cos’ho da perdere? Cos’è che ho da fare di tanto urgente da non potermene stare qui seduto bello Placido sul divano leopardato, come il pavimento, della buona Onorinn? Nulla. Eh allora rilassati e ascolta, anzi magari dì anche la tua se per caso sviluppi qualche parere in base alla conversazione. Fossi stato a Milano avrei pensato solamente a produrre, a raggiungere l’obiettivo più in fretta possibile e nella maniera migliore. Ma qui le cose vanno diversamente. Anche sconosciuti ti chiedono “comment ça va?” E si aspettano di rimando una risposta insieme alla medesima domanda. Interessarsi all’altro almeno un minimo è un dovere civico, una forma di rispetto nei confronti dei membri di una comunità che, in Africa, è una parola che ha preservato senso logico.  Calma quindi. La stessa tranquillità con cui procediamo al pranzo. Marlise deve fare il riso con i fagioli dato che siamo nel venerdì di Quaresima, niente carne. Non chiedetemi come ma 3 ore non le bastano. Ci sediamo alle 14.30 per rifocillarci.

La stagione secca sta arrivando al suo picco. Marzo è il mese più caldo di tutti e io comincio ad avvertirlo. Mangiare mi da un certo senso di pesantezza e inoltre noto che da un paio di giorni bevo e sudo molto di più. Alle 17 c’è il cammino di fede in chiesa. Alcuni ventilatori attaccati al soffitto sono guasti. Per la prima volta da quando sono giunto a Garoua patisco il clima. Sarà la massa di persone, sarà l’ambiente chiuso… sto quasi grondando.

All’uscita della messa incrociamo il dottor Alberto e sua moglie. Rinnovano l’invito a cena, se ci va possiamo andare a trovarlo anche stasera. Christian ci accompagna ma non è molto per la quale, preferisce riposare. Io e Marlise ci infiliamo a casa Lenzi. Minestrone, acqua fresca e chiacchiere tra amici. Niente male. Il tutto guarnito da una crema di limoncello fenomenale.

Come tornare indietro? Il doc non ha l’automobile. Se siamo fortunati prendiamo la moto, altrimenti si va a piedi, non sempre a quest’ora (20.45) si trovano passaggi. “Hai i documenti dietro? Bravo e mi raccomando tieni il cellulare ben nascosto perché passerete davanti al bar e qualche ubriacone potrebbe aggredirvi al fine di ottenere qualche soldo!”. Come sono finito in questa situazione? Parlano di aggressioni come fossero incontri di lavoro. Tutto nella norma qui, può succedere, ma a me non fa tanto piacere. É la prima e l’ultima volta che non pianifico un rientro a casa, avrei dovuto accordarmi con Christian, forse non mi sarei mai dovuto separare da lui. Marlise è un’irresponsabile, come ha potuto pensare di farmi rientrare a piedi nella notte? Queste sono le cose che penso mentre marcio con la mia amica, stasera un po’ anche nemica, guardandomi intorno circospetto. “Marlise gli aggressori hanno pistole in genere?” “No, coltello o macete!”. Guardò in fondo alla mia mano destra, ho in pugno le pentole pesanti con le quali abbiamo portato dal dottore gli avanzi del pranzo. Per questa volta potrei cavarmela, ma per le prossime? “Marlise quanto costa un macete?” Lei scoppia a ridere. Vorrei fabbricare un fodero di cuoio da portare sul dorso di modo da nascondere l’arma alla vista, tenendola sotto al gilet Cumse. Perché trovarsi impreparati davanti agli aggressori? Uno a uno palla al centro no? Lei continua a ridere e a prendermi in giro. Non capisce che parlo seriamente! Una moto ci sorpassa. Due ragazzi in sella parlano tra loro. Che sia un segnale di agguato? Negativo. Procedono per la loro strada. Marlise parla, io non ascolto minimamente, sono rigido e marcio come una recluta dei Marines alle prime armi. Mi sembra di essere un bersaglio mobile, ogni sguardo, ogni volto nascosto dal buio della notte mi inquieta. Il pigmento scuro della pelle li avvantaggia, loro vedono te ma l’avvolgente manto nero della sera li rende invisibili. Insomma, siamo in netto svantaggio. Dovessero mai attaccarci la strategia migliore sarebbe la supplica. Il mio orgoglio preme un po’ all’idea di inginocchiarsi e piangere per avere salva la vita. Ma cosa volete che sia? L’orgoglio uccide più del macete a volte. Meglio seppellirlo e bagnarsi di umiltà. (Codardo).

Giunti a casa sani e salvi mi riprometto di non cacciarmi mai più in dinamiche simili. Perché diavolo sono uscito? Va bene la sete di avventura ma abbandonarmi a morte certa non è una bella mossa. Si sta così bene tra le mura domestiche, al sicuro!  Marlise chiama Christian per percularmi ancora un po’ con la storia del macete!
Il presidente dice che un bianco col tale oggetto in mano molto probabilmente fa una brutta fine… diciamo che mi arrendo. Eppure l’idea mi stuzzica! Perché mai Charles Bronson si sarebbe preso la briga di interpretare con grande impegno il “giustiziere della notte” se non per dare un esempio di coraggio e follia alle generazioni successive? Io voglio raccogliere il suo lascito, datemi una spada! Mi va bene anche il coltellino svizzero dai…

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