21 febbraio – FairPlay

Ho spruzzato Autan sulle lenzuola e non ho avuto zanzare a sorpresa durante la notte. Forse posso dormire. Sveglia alle 8. Un messaggio di suor Miriam mi annuncia che del mio powerbank non c’è traccia. Io mi sento mancare. Sono attaccato alle mie cose, come farà a sopravvivere senza di me in un mondo così malvagio, adorato carica batterie del mio cuore, ti avranno barattato per un pollo o peggio solo qualche uovo. Non riesco ad accettare di averlo perduto per sempre. Che io colmi le mie lacune emotive attraverso il possesso? Meglio non pensarci. Tranquilli la lezione la imparerò a breve.

Facciamo colazione al “Titanic” ormai siamo di casa, 2 bolliti e un paio di Nescafé sono quello che ci vuole per carburare. Verso le 10 ci dirigiamo in chiesa, la messa delle 8 deve ancora terminare, scendo dal mezzaccio e rimango folgorato dalla folla di coloratissimi fedeli che si apprestano ad uscire e ad entrare nell’edificio. Saranno più di 500. Sono l’unico bianco, questo dettaglio scontato ci sarà utile a breve.

Entriamo, il parroco, padre Bertrand, è un amico del buon Christian, il suo sermone è speciale, ci fa ridere, cattura le nostre orecchie e i nostri cuori. Nemmeno me ne accorgo, la celebrazione termina alle 12.30. Chri vuole salutarlo, lui ci invita a pranzo. Come rifiutare? Da suor Miriam andremo un poco più tardi. A tavola si parla di calcio, di quanto in Italia sia quasi religione, ovviamente non può mancare una mia digressione sul grande Napoli ai tempi di Maradona. Padre Bertrand è affascinato dalla dinamica.

Passando poi alle cose serie, anche lui come noi ha a cuore la situazione dei bimbi di suor Miriam e intende sensibilizzare la sua numerosa comunità al fine del sostegno reciproco. È un uomo carismatico, deciso, dal vocione roco e un diastema tra gli incisivi veramente caratteristico. Ci accompagna alla vettura verso le 15… una sorpresa ci attende.

Il finestrino della “Ferrari” Cumse è spaccato e il mio zaino si è volatilizzato. Cosa dicevamo a proposito dell’attaccamento ai beni materiali? Ho lasciato tutti i miei averi incustoditi per 5 ore nel parcheggio della chiesa. Ero convinto che dopo la messa saremmo andati a pranzo dai bimbi, non mi aspettavo l’invito di padre Bertrand, non volevo entrare in chiesa con lo zainone. Quando ho raccontato a mio padre dell’accaduto mi ha risposto:”che coglio** che sei Vale, mi dispiace!” In effetti dispiace un po’ anche a me sia per lo zaino sia per il fatto di essere un coglio**.

Il parroco non crede ai suoi occhi, la zona della chiesa è sempre stata sicura, le autorità hanno sempre favorito un buon servizio per la comunità, chiama gli agenti. L’ufficiale e il suo compare arrivano in moto vestiti in abiti civili, pantaloni e maglietta di qualche squadra di calcio. Il mio stato d’animo è un miscuglio sconclusionato di cose, non posso e non voglio arrabbiarmi, sono quasi contento per quei furfantelli che, avendo notato il nassara scendere dall’auto, si sono precipitati per racimolare un bel bottino. Occhiali da vista, portatile, action cam, caricatore, hard disk… han fatto il colpo della vita. Spero almeno si bevano una birra alla mia salute. Sono pure assicurato… sempre ammesso che mi paghino.

L’unica cosa per cui davvero mi dispiace, lo ribadisco più volte anche agli agenti, è aver perso tutto il fantastico lavoro di ieri: dati, foto. Christian dovrà rifare alla vecchia maniera (cartacee) le schede riguardanti ogni ospite del centro. Ci eravamo tutti impegnati così tanto! Ha ragione mio padre ad affermare ciò che dice! Il mio compare mi porta alla polizia. Nel parcheggio 2 vecchi cani addestrati ci ringhiano addosso. Entriamo in una stanzetta con un letto sprovvisto di materasso, un tavolino e una sedia.

Gli agenti prendono un pezzo di carta e cominciano a scrivere i miei dati per la denuncia. L’ufficiale Buba (si chiama così, immaginatevi le probabilità di ritrovare il maltolto quante siano) vuole che gli invii su whatsapp una foto del mio zaino. È un modello particolare, qui non se ne vedono fatti così, faranno di tutto per recuperarlo. Li ringrazio infinitamente e mi avvio al nostro pick up menomato di vetro.

Christian mi sprona: “c’è sempre una prima volta e sono sicuro che mai mai mai mai più nella vita commetterai un errore simile! Prendila con FairPlay, è un po’ come uno sport!”. Quanta saggezza quest’energumeno scuro. In fondo sono venuto qui alla ricerca della pazienza, della calma, dell’attenzione. Posso dire di aver trovato già parecchie cose, tipo il numero di Mr. Buba. In cambio ne ho perse altre. Soprattutto in Africa, la vita è un dare per avere. Courage!
Arriviamo da suor Miriam alle 17. Del mio caricatore neanche l’ombra… poco importa non avrei comunque alcuna batteria da risanare, sono finalmente libero dalla tecnologia superflua. Il cellulare però me lo tengo stretto finché posso… almeno quello!

Chiedo ad un bimbetto di nome Paul come va la vita. Potrebbe rispondermi così: “come pensi che vada, ho fame, ho i calzoni bucati, sono abbandonato a me stesso, non ho idea di che avvenire mi attenda e al mondo non ho nessuno”. Sapete cosa mi risponde invece? “Tutto bene grazie!”. Sapete cosa vi dico dunque? Che il diavolo si porti il mio zaino con tutto il suo contenuto e torni pure a domandare qualcos’altro se mai avesse bisogno. La mia porta resta aperta. Non saranno 10 minuti di noia a rovinare 24 h di splendida giornata.

Mi metto insieme ai marmocchi e con una grinta ed un’energia inspiegabili, questi mi travolgono con canti, urla, grida, giochi. Chissà da dove traggono questa forza esagerata. Terzani diceva che in posti come quello in cui mi trovo la felicità è a portata di mano, ecco perché la gente apprezza e gode del dono della vita malgrado tutte le innumerevoli difficoltà. Nel mondo da cui provengo io invece, creiamo desideri prima ancora di trovare il modo di soddisfarli e questo ci rende tremendamente frustrati e inappagati.

Io non so bene come stiano le cose, ma noto che in effetti, con un po’ di FairPlay, tanta pazienza e 100 bambini intorno, la situazione non va poi così male, anzi, tutto l’opposto. Mi fosse successo a casa probabilmente avrei imprecato per una settimana. Oggi invece mi sento libero, meno preoccupazioni, meno peso da trasportare, meno valori da proteggere. Sono più leggero, per l’ennesima volta in Camerun, chi guadagna è colui che da o, nel mio caso, a cui viene tolto (paradossalmente!).

Al ritorno verso l’albergo abbiamo incrociato degli uomini intenti a soccorrere un tipo in panne con la moto. Non c’e verso di sistemarla. Christian si offre di caricare il motorino e il proprietario sul pick up. In mezzo alla savana, al calar della sera, senza attrezzi per riparare il veicolo e senza possibilità di abbandonarlo li, visto quanto è prezioso. L’uomo ci è infinitamente riconoscente, non ha idea di come avrebbe fatto senza il nostro aiuto. La provvidenza! In fin dei conti è sempre la solita solfa, momenti di alto e momenti di basso, a volte va bene, altre volte commetti errori da cretino cosmico. C’est la vie!

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