19 dicembre – Il treno

Mi sono svegliato alle 6.30. Forse svegliato è un termine generoso. Il LETTO di casa COE a Mbalmayo è sicuramente ortopedico. Si potrebbe dire che io abbia sperimentato la pennichella in stile antico Egitto.

Avete presente Tutankhamon e la sua lastra di pietra? Ecco il mio lettino non è tanto più morbido di così.
Il CUSCINO è talmente sottile che mi tocca piegarlo in due. Mi piace avere la testa un po’ rialzata rispetto al corpo altrimenti non dormo, sono viziato. In principio volevo evitare di usare la ZANZARIERA, più per l’incomodo di doverla sistemare al mattino (la mia pigrizia non ha confini), tento quindi di dormire supino, con le mani giunte all’altezza dell’ombelico e la testa sul cuscino raddoppiato. Un misto tra una mummia e il conte Dracula. Dopo 5 o 6 punture di zanzara, verso le due del mattino mi decido ad infilarmi sotto la rete protettiva, la malaria vince anche sulla pigrizia. Verso le 3 mi sembra di essermi addormentato ma, alle 6.30, ancora in mezza fase REM, sento suonare qualcosa e penso: “vuoi vedere che, proprio adesso che ho trovato la quadra, è ora di alzarsi?”

Ebbene sì, ho promesso alla Pina che sarei andato a MESSA con lei alle 7.00, un uomo vale quanto la sua parola, che io sia dannato con tutti i miei principi, devo alzarmi per forza. Entro nella cappellina e mi butto a sinistra, del resto lo diceva anche il grande Totò e io i suoi consigli li seguo sempre, mi siedo su uno sgabello e mi accorgo che a destra sono sedute solo ragazze, quindi deduco di aver azzeccato il lato giusto. La ragazzina al pianoforte mi guarda e mi dice qualcosa che non capisco indicando un altro sgabello. Evidentemente anche sul lato giusto ho sbagliato sedia, mi sposto, mai che faccia tutto per bene. I canti sono vivaci e, a differenza del pianoforte scarsino, le percussioni sono coinvolgenti, i tamburi loro ce li hanno nel sangue.

Finalmente è tempo di fare COLAZIONE, caffè nero bollente, pane e TARTINA.

La Pina mi ricorda che la sera prima mi ha battuto a CARTE 7 volte di fila. 5 partite di scala 40 e 2 di machiavelli. In pratica una signora di 89 anni mi ha fatto il cappotto in Africa, luogo in cui tutto mi serve meno che quello. Mi metto le mani sulla faccia per la vergogna e così, come premio di consolazione, Pina mi regala una copia dei DIARI del suo primo viaggio in Africa nel 1967. Mi spiega che nel ’73 è emigrata in Camerun partecipando alla fondazione del centro del COE. Io che mi credevo spavaldo per essere partito nel bel mezzo di una pandemia scopro che la Pina nel 1967 è atterrata in Nigeria durante la rivoluzione. Anche a coraggio vince lei. 8 a 0. Vi ho già detto che la Pina è fortissima?

SI PARTE

Giunge il momento di lasciare casa COE, saliamo in moto e arriviamo al pulmino. Come vi ho già detto, ma nel caso ve lo siate perso, ve lo ricordo, l’uso africano vuole che un pulmino non parta mai finché non è completamente carico di persone e bagagli. Non c’è un orario prestabilito per l’andata e, dunque suppongo, nemmeno per l’arrivo. Il classico pulmino da 9, io ho contato 25 persone, ho scoperto un nuovo concetto di monovolume.

Non si respira, non ho manco spazio per muovere un braccio. E credetemi, se potessi lo muoverei volentieri avendo visto una zanzara di sospette dimensioni in giro per l’abitacolo. C’è 1 probabilità su 25 che punga l’uomo bianco senza anticorpi. Mi appello alle divinità africane e spero di farla franca. Partiamo inaspettatamente, ho perso di vista la zanzarona, i miei calcoli erano errati, l’autista ha fretta, o così sembra dato che inizia a cannellare giù per una discesa a 100 km/h. Nella mia mente compare una scritta a caratteri cubitali: “Perché?”.

Non va molto forte direte voi. Credetemi, sfida le leggi della fisica!  Al bordo delle “strade” camerunensi ci sono i canali di scolo per l’acqua, basta entrarci con una ruota e si ribalta tutto l’ambaradan, mentre penso questo sorpassiamo proprio un auto ribaltata nel canale. Non ne sono certo, ma pare che il codice della strada di questo paese imponga agli autisti di mantenersi al massimo a 1 cm dal canale indipendentemente dalla velocità. Penso siano obbligati altrimenti non si spiega lo stile di guida degenerato. Mi consolo trovando conforto nel fatto di essere seduto vicino al finestrino per poter ammirare il paesaggio.
Deglutisco e mi ravvedo: in caso di incidente, sarei uno dei primi a morire male. ANSIA!

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Nel mentre osservo un cinese alla guida di un pick up bianco. Sono dappertutto per davvero. Un amico di Christian il cui nome è “Magloire” (letteralmente “la mia gloria” un nome potentissimo!) ieri mi ha detto che in Africa quando si parla del COVID si dice che “per la prima volta i cinesi hanno inventato qualcosa che dura”, non trovate che sia esilarante? L’autista evidentemente ha qualcosa contro i pick up bianchi, o forse contro quelli guidati dai cinesi, o forse tutte e due le cose.

Fatto sta che si piazza a sinistra in una terza corsia a me ignota, accelera ancora di più e lo sorpassa senza pietà.
Di colpo il car si ferma, un papà con in braccio la sua bambina parla all’autista. Questo scende e gli apre lo sportello.
La piccolina giù dal camioncino non fa una piega e, prima che io potessi comprendere la circostanza, si tira giù le mutandine per fare la pipì. Una vera Rockstar, altro che Lady Gaga e compagnia. Nessuno si lamenta per la sosta e io mi sento in colpa davanti a tutta questa composta e civile educazione. Mi vengono in mente quelle volte in cui ho parcheggiato nel posteggio riservato alle donne in gravidanza per non pagare il ticket. Forse in Africa imparerò le buone maniere! Speriamo. Ripartiamo a tutto gas, arriviamo a Yaoundè e saliamo su un taxi da 4 in 6 ovviamente, questa è la prassi: LE BASI.

Ricapitolando finora ho preso 2 aerei, un paio di volte l’auto, 4 volte i taxi, 5 volte la motocicletta, 2 viaggi in pullman e sta sera una notte di treno. Come battesimo non è male direi.

 

Ah proposito, il TRENO miei cari è qualcosa di speciale. C’è uno spicchio di luna in cielo a farci luce, partiamo lentamente da Yaoundè verso la foresta equatoriale. Uscendo dalla città si passa in periferia, poi pian piano si arriva alle bidonville fino al verde sconfinato. Io e Christian siamo stati almeno un paio d’ore a braccia conserte con il mento poggiato al bordo del finestrino a contemplare la potenza ostinata della natura circostante.

Alberi giganteschi dominano su tutto, i loro profili risaltano anche nel BUIO della notte. Le iridi bianche degli occhi miei e del mio compagno sbucano di poco sopra all’antipatica mascherina. Ogni tanto lui sporge tutta la zucca fuori e io lo imito col mio zuccone bianco. Ci avviciniamo ad un ponte, testa di nuovo dentro. Poi ancora fuori. Siamo maschi, che volete, ci divertiamo con poco. Immaginiamo avventure nel mezzo del bosco, ci raccontiamo le storie delle nostre rispettive vite. Il treno viaggia al suo passo lento.

Ogni tanto c’è una stazione, donne e bambini ci propongono mandarini, manioca pantoc (ovvero una manioca lavorata e fritta in un certo modo a me ancora ignoto), papaya, acqua minerale ghiacciata. Qualcuno fa compere dal finestrino. La foresta entro domani lascerà il posto alla savana. Mi sveglierò in un mondo dai colori diversi.

Non posso raccontarvi proprio tutto, le informazioni recepite sono davvero troppe.
Caso mai venite a farvi un giro. Christian russa della grossa, credo che, come sempre, proverò ad imitarlo.

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