9 gennaio – Batoste agrodolci
Vorrei potervi dire di aver vissuto una giornata stupenda. Vorrei potervi raccontare di come anche oggi sia andato tutto liscio, ed in parte lo farò, perchè c’è un fondo di verità in questa affermazione. Tranquilli, non intendo tediare nessuno con un carico di negatività gratuita spedita direttamente dall’Africa. Almeno spero di riuscirci.
E’ solo che non riesco ad essere completamente soddisfatto. La giornata ha avuto un retrogusto inaspettato, un pizzico di amaro è andato a posarsi proprio sul fondo della lingua, solleticando con dispetto le mie papille gustative. Un po’ come quando mangiando l’insalata, la goccia di aceto posata sulla foglia scivola giù in fondo alla gola prendendo il sopravvento sul sapore tenero della lattuga, facendoti storcere un po’ il naso.
Rimettiamo insieme i pezzi.
Mi sono svegliato alle 7 con l’intento di andare a casa delle ragazze per ripetere i benedetti scatti che da giorni tentiamo di fare. Mangio gli avanzi del pranzo: zuppa di cavolo con pistacchi e patate bollite, colazione dei campioni. Le fanciulle sono occupate, rimandiamo a domani dopo la messa. Per l’ennesima volta.
Alle 8.30 io, Godyene, Soumaya e Suor Nicole ci avviamo verso il cancello d’ingresso aspettando l’autista.
Non ve l’ho detto? Oggi è prevista una gita al ranch di Ngaundabà, a 40km da Ngaounderè. Notizia elettrizzante.
Mr. Yurik (l’autista) si presenta con mezz’ora di ritardo. Ah già che c’è il fuso. Sulla strada accosta per mostrarci una grande cascata che apre la strada al fiume Vina. Non ci sono coccodrilli, ci si può nuotare volendo, un tempo il fiume era popolato da ippopotami ma, oggigiorno non ve n’è traccia.
Peccato, mi stava per partire un jingle: “in the jungle…” occhei, troppo tardi.
Il piano inizia con una colazione (la seconda) al bar, ad attenderci troviamo una scimmietta al guinzaglio. Godyene ne è rapita, scambia il numero con i ragazzi dello staff, caso mai ne vendessero una la chiameranno. La furbetta mi si attacca alle gambe e prova a mordermi. Qualche ora dopo penzolavo da un albero, spero di non fare la fine di Spider-Man.
Seconda fase, camminare a bordo del meraviglioso lago vulcanico immerso nel verde magnetico della foresta equatoriale, per poi pranzare assaggiando “le capitain” un pesce tipico di questa zona, molto grasso (tipo il salmone ma bianco), alternato con carne di zibù arrosto e un fresco contorno d’insalata d’avocado.
Ovviamente per i più golosi oltre al verde frutto, si aggiungono patate e platano fritti. Insomma una delizia.
La fame è stata ancor più stimolata dal giro in barca affrontato poco prima. Mr. Daniel è magro come un chiodo, ma con un remo solo e l’aiuto del principio di Archimede, traghetta se stesso, me e Godyene senza fare una piega. Si vede che è il suo mestiere. Chiedo allora se la balneazione è consentita.
Risposta: “se sai nuotare non è rischioso, si può fare”. Facciamo che ci penso.
La conca lacustre vista dall’interno è ancora più affascinante. Ninfee e piante acquatiche ne cospargono i margini, anatre e uccelli esotici spuntano da ogni dove.
All’interno delle più grandi canne di bambù si celano anche dei boa a detta di Mr. Daniel. Il fondale è visibile ad occhio nudo.
Lo scenario mi ricorda in qualche modo il mio amato laghetto di Montorfano.
Sarà anche per una piccola nostalgia delle mie estati italiane. Chiedo al nostro marinaio la profondità: 425 m. Mah? Io vedo il fondale? No, quello è fango sotto al quale si nasconde altra acqua, finirci dentro è molto pericoloso, si rischia di non poter più risalire.
Aspetta, com’è che aveva detto: “non è rischioso” giusto? Come no! Altro che Montorfano. Mr. Daniel una volta ha pescato un Captain di 60 kg.
Meglio lasciarsi il beneficio del dubbio e desistere dal nuoto, noi codardi in questo siamo degli maestri.
Dopodiché il piano prevede di stendersi su un’amaca all’ombra di un grande mango per dondolare dolcemente. In mia compagnia c’è un pastore tedesco di grossa taglia.
Rex, nome banalotto, è un grande accompagnatore. Molto intelligentemente ci indica la strada dei percorsi da fare. Ci aspetta sulle salite più faticose, si sdraia sotto al nostro tavolo placidamente durante il pasto, chiede qualche carezza in cambio e ti guarda con due occhioni gentili che scioglierebbero persino il cuore di mandrake.
Mi piacerebbe avere un cane così. Lo vizierei spudoratamente. Dire che ha umanità sarebbe come recargli offesa. E’ molto più in gamba di noi, il semplice fatto che non parli lo rende più intelligente di una marea di persone che ho incontrato nella vita. Mi viene in mente il ritornello di una canzone che mi piace molto: “i cani sono meglio delle persone che dicono che i cani sono meglio delle persone”. Non voglio rientrare troppo a lungo in questa categoria,
anche se forse dovrei esserne onorato.
Cambiando discorso, sul finire del nostro soggiorno un ragazzo, Ismael, si palesa al galoppo di un cavallino bianco ad una velocità impressionante. Rimango colpito dalla tecnica del giovane, poi anche dalle bizzarre minute dimensioni dell’equino. Una razza del nord, non crescono più di così. Dietro di lui un altro paio di piccoli gioiellini della bio-meccanica galoppano all’inseguimento dell’aprifila.
Sono talmente rapito da queste scene che Ismaele mi raggiunge: “vuoi provare a montare? E’ ben addestrato, ti guido io”. Lo avrà dedotto dalla mia espressione da vegetale? Presumibilmente sì.
Ho un po’ paura, non tanto della bestia in sè ma quanto della velocità che può raggiungere nonostante le dimensioni ridotte.
Del resto al passo ci so già andare, decido di buttarmi. A guardare le foto son più grande io di Sapphire (finalmente
un nome potente, era da un po’ che non ne sentivo uno, adattissimo ad un cavallo simile).
Cos’altro potrei desiderare? Assolutamente niente dico bene? Ho avuto una giornata fenomenale, mi sono riposato, ho fatto una bella passeggiata, sono andato in barca, ho montato al passo. Ho mangiato divinamente.
Saliamo in auto, Yurik è pure puntuale. Sulla strada il tramonto comincia a tinteggiare d’arancio i contorni,
i rigagnoli di scolo, i tetti di paglia delle casupole di fango, persino la terra rossa si imbarazza aumentando il suo contrasto. Molte le bestie a bordo della strada. Zibù, caprette, inoltre ci sono anche due cagnolini.
Due cuccioli beige di pochi mesi. Innocenti quanto incoscienti. Scondinzolano, giocano, si buttano in strada senza guardare. Notano l’auto, Yurik rallenta, rallentano, poi accelerano, sono preda dell’indecisione, l’autista spazientito
chiama gas col pedale. Non abbiamo nessuno dietro, nemmeno l’ombra di una vettura davanti, non c’è alcuna fretta di arrivare in nessun posto se non a casa.
L’automobile aumenta follemente la sua corsa, mi scappa un “NOO!” smorzato sul finale da un botto.
Chiudo e apro gli occhi, una frazione di secondo, non ho il coraggio di guardare nello specchietto retrovisore. Gli occhi mi si gonfiano, arrossiscono ma, purtroppo, non a causa della luce solare sempre più cremisi. Resisto, mi volto
in direzione del finestrino, attingo un po’ d’acqua dalla mia fedele borraccia con la segreta speranza che da questa esca qualcosa di più, una lozione stregata magari, capace di rimettere insieme i cocci del mio cuore in frantumi.
L’autista (da qui in avanti non ho più intenzione di chiamarlo per nome) procede senza fare una piega. Vorrei agire in qualche modo. Vorrei aver fatto qualcosa, PRIMA. Avrei dovuto suonare il clacson, tirare il freno a mano,
buttarmi dal mezzo in corsa, gridare. Penso a mio padre, lui sì che avrebbe fatto qualcosa, lui con quelle sue mani pratiche capaci di tutto, lui che all’occorrenza è idraulico, imbianchino, meccanico, carrozziere, falegname, elettricista, sempre pronto ad agire di riflesso. L’incarnazione delle generazioni “vecchia scuola”, magari avessi fatto anch’io la naia. Sto delirando.
Io no. Io sono un mezzo artistoide sulle nuvole. Sono anche un codardo.
Prendo inoltre precipitosamente sempre e solo pessime decisioni. Fracassare il cranio del guidatore con la mia borraccia da un litro, ad esempio, non è una buona idea.
Piangere nemmeno. Incazzarmi fino a perdere la voce potrebbe risultare inutile. Anche a recuperare il corpicino tutt’ossa del piccolo, non saprei curarlo. L’impotenza, in qualunque sua forma, può diventare una condanna tremenda.
Mentre penso a queste cose, fermo immobile fissando il parabrezza con gli occhi più vacui che ho, suor Nicole attacca a parlare col pilota di tutti gli animali investiti per sbaglio in anni di guida. Del resto la strada non è
la sede naturale in cui dovrebbero trovarsi, è pericoloso, succede di continuo, sapesse quanti camion ogni giorno centrano qualcosa o qualcuno.
Una volta ha pure rischiato grosso per colpa di un cane, da allora si rifiuta di guidare.
Ragazzi so bene che tra tutti i pericoli e gli incidenti possibili, questo è il minore dei mali. Ho imparato con una dura lezione come il valore della vita sia davvero esiguo da queste parti rispetto a quello che io sono abituato ad attribuirle.
Nassara. Io vengo da un mondo in cui i cani portano le babbucce ed il cappotto.
Ho visto padroni ordinare il pollo alla griglia al ristorante per i loro amichetti pelosi. Lo stesso mondo ipocrita che lega gli animali al guardrail e li abbandona in agosto, per godersi le vacanze in santa pace. Qui i quadrupedi, anzichè in borsa, al bisogno, si stirano sotto le macchine.
Purtroppo, mi vedo complice, spettatore omertoso. Passeggero silente. Gioco fuori casa, non ho esperienza, sono solo. Ciò che posso o non posso fare devo deciderlo da me, senza l’aiuto di nessuno. Fa parte del pacchetto, l’ho sempre saputo. Ho scelto il servizio civile anche per questo, è questione di crescere, responsabilizzarsi, conquistarsi la famosa stramaledetta autonomia. Varcare le porte dell’età adulta.
Biasimatemi pure quando vi dico che io, se potessi, volerei sull’isola che non c’è senza fare ritorno.
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Dai ricomponiamoci.
Tornato a casa mi intrattengo con Delphin e Pelagin rimettendo, per quanto possibile, in sesto il mio animo.
Varcata la soglia della magione mi avvio verso il bagno senza più preoccuparmi della ranocchietta che da un paio di giorni convive con me. Mi siedo sulla tazza, espleto i miei doveri e tiro l’acqua. Sbuca dal centro del WC la piccola creaturina arancione posandosi sul bordo. Ecco dov’era!
Ma voi vi immaginate che razza di salto avrei fatto se mi fosse balzata di testa sullo sfintere? Oltre all’infarto avrei anche potuto correre il rischio di scoprire un certo piacere mai provato…GULP! Mi sa che
la faccio fuori. Probabilmente esagero. “Doing”. La simpaticona esegue un altro piccolo avanzamento andando a nascondersi dietro al Water. Sospiro.
In fin dei conti che male fa? Sapete, oggi sono in vena di indulgenze.
Avendo graziato l’autista, non vedo come potrei infierire su Molly. Ebbene sì, le ho dato un nome e GUAI a chi
la tocca.