24 gennaio – Abbaiare alla luna
Ho atteso la mezzanotte per poter avere connessione e rassicurare il mondo occidentale sul mio perfetto stato di salute.
Ho puntato la sveglia alle 6 nella speranza di farmi una doccia mattutina. Niente acqua. Ritorno a letto e alle 6.30 mi sento bussare alla porta. “Manassè? Che ci fa qui?” Mi ha comprato il pane, i fiammiferi e porta in dono due avocado freschi. Lo invito al mio desco.
Mentre io mi scofano gli spaghetti avanzati da ieri, lui mangia volentieri un paio di banane. Sono in ritardo per la messa, lo congedo in fretta e furia per poi tuffarmi nel viale. A quanto pare sono più recidivo di un pappagallo, siamo in Africa, la puntualità è un concetto inesistente!
Nel salone trovo giusto un paio di addetti alla sistemazione dell’altare! Noto che hanno trasportato il tavolino all’esterno. Per quale ragione? Mi informano sul fatto che oggi la celebrazione si terrà sul promontorio; c’è giusto bisogno di qualcuno che aiuti a caricare il tavolino. Mi offro volontario, sarà che mi hanno sempre affascinato le figure dei martiri, non ho altra spiegazione!
I canti precedono l’arrivo delle ragazze. Oggi sono più eleganti del solito. Lentamente la folla comincia ad accalcarsi ai piedi dell’ingresso della sala. Padre Alois è in forma smagliante e indossa una tunica verde speranza. Inizia il sacro rito e poi attende che i giovani chierichetti gli facciano strada. Uno porta la croce, l’altro i fiori, chi ha in mano le candele. A me il tavolo. La formazione a V non soddisfa il prete che, spostando letteralmente di peso un paio di ragazzini, esige avere i reggi moccoli ai lati, i ragazzi con i fiori all’interno e, nel mezzo, il portatore di croce. A me non viene data nessuna disposizione logistica ma, sinceramente, ne avrei bisogno.
La strada impervia che conduce al promontorio è scoscesa e sdrucciolevole. La superficie piana del mobile mi impedisce la vista dei piedi che, a tentoni, cercano in tutti i modi di prevedere su quali sassi si poggeranno. A metà strada un uomo mi soccorre e si offre di sostenere metà del peso. Non che sia gravoso, ma in questo modo posso evitare di ruzzolare giù per la collina evitando di guastare la cerimonia di padre Alois.
Lo ringrazio dunque calorosamente!
Oggi io, Conrad e le ragazze abbiamo in programma un piccolo ritiro di catechesi alla maison di Yves Plumey, subito dopo la celebrazione eucaristica. Le cose, come sempre, vanno per le lunghe. C’è la benedizione dei fedeli, un paio di gocce d’acqua santa mi finiscono dritte dritte negli occhi, inoltre chi vuole può consegnare la propria bibbia al parroco per la consacrazione del testo. Oggi i canti e l’operato del coro in generale è più vivace di quanto non sia mai stato, giocoforza anche il fatto che lo spazio della chiesetta è ridotto nonostante il numero di spettatori sia lo stesso, l’eco delle voci ha un riverbero corposo.
All’uscita incontro Jojo che mi presenta ufficialmente la moglie e i suoi piccolini, alla prima occasione buona avrebbero piacere di invitarmi a casa per un pranzo. Sapete bene quanto io mi esalti anche per molto meno, inutile quindi dirvi che ho accettato l’invito su due piedi.
Augurata una buona domenica a mezzo villaggio mi accodo alla stuoia di donne che precedono il mio passo, in direzione della grande casa del vescovo. Il sole “mena” da far paura, inoltre siamo carichi, ognuno porta qualcosa, Polyne ha in testa un servizio di piatti e cammina a schiena ritta senza fare una piega sotto i 32 gradi equatoriali. Le ragazze a due a due reggono sacchi pieni di pentole e stoviglie essenziali per preparare il pranzo. Io mi sono offerto di caricarmi uno zaino e dividere il peso di un sacco con Marie lungo il cammino.
All’arrivo sono completamente lavato sulla schiena. Ci togliamo le scarpe, le ragazze si precipitano a lavare calzini e calzature sotto l’acqua del rubinetto situato in giardino. Guai a presentarsi a casa del futuro beato Yves in quello stato di disgrazia. Fondamentale recuperare una decorosa presentabilità. Ovviamente non ho alcuna voglia di mettermi a fare il bucato, ma almeno do una bella spolverata agli indumenti, scarpe comprese, ed entro scalzo per evitare di non portare polvere in giro. A dire il vero scalzi ci entriamo tutti, lungo il tragitto siamo stati superati da alcune motociclette cariche di invitati ad un matrimonio che, oltre ad averci frastornato giustamente a colpi di clacson, ci hanno anche completamente cosparso di terra rossa. Morale, siam conciati da sbatter via. Lasciamo perdere.
Le ragazze si apprestano subito a spentolare in cucina: benniè e insalata di avocado. Le porzioni leggere preoccupano il mio appetito cavernicolo. “Tranquillo – mi rassicurano – questa è solo la colazione delle 12, alle 14.30 pranziamo!”. Posso asciugarmi i sudori freddi e riprendere a respirare. Claris interroga severa le ragazze sulla vita di Monsignor Yves Plumey. Serve che tutte conoscano grosso modo i pilastri principali del suo percorso poichè, essendo stato avviato il procedimento di studio per la beatificazione, la commissione vaticana potrebbe intervistare anche i giovani del centro per comprendere quanto essi siano veramente coinvolti con le origini del vescovo ed il suo operato. Non si scherza!
Alle 15 siamo stremati. La metà di noi è fuori seduta sulle scale, l’altra, me compreso, è sdraiata sui tappeti nel tentativo di fare un pisolino. Io riposo gli occhi, ma di dormire al pomeriggio non se ne parla. Purtroppo senza l’abbraccio delle tenebre non mi abbiocco quasi mai. Aisha, Claris, Conrad e Marie, a differenza mia, sarebbero invece capaci di dormire (citando Conrad stesso) anche tra le fiamme.
Il tempo vola, non appena ci rimettiamo in sesto, rassettiamo la casa e ci raccogliamo in un ultimo momento di preghiera prima di rientrare. Stando al programma saremmo dovuti rincasare alle 15.30. Partenza dalla maison effettiva: 18.30, tutto regolarissimo. Dovremmo essere cotti, eppure per ingannare la fatica, le piccole donne incominciano ad intonare canti che distraggano la mente dai dolori delle gambe. Inizialmente siamo spenti, qualcuna da sfogo all’ugola, molte altre si astengono. Dopo una decina di minuti però, accade qualcosa di magico.
Non saprei spiegarvelo bene, cerco di rendere l’idea della dinamica. Diane ha trovato la canzone GIUSTA. Nel senso che ha intonato una specie di YMCA camerunense interattivo che a domanda della solista, attende le risposte dei partecipanti. Pare che tutte stiano al gioco e, senza pensarci due volte, pur non capendo assolutamente niente di quello che dicono, imparo il ritornello e mi butto a capofitto nella sfida. Immaginatevi una ventina di ragazze e il sottoscritto che all’unisono urlano a squarciagola cori da stadio in lingua fufuldè.
Un casino, un trambusto che non vi dico! Per un attimo mi sembra di essere ritornato a Napoli per il capodanno!!! Le voci ad ogni passo si fanno più forti e vigorose, la gente si affaccia dall’uscio di casa illuminandoci la strada con la luce del telefono, danzando insieme a noi. Aisha prende il comando della brigata e comincia a chiamare le sue sottoposte, chiedendo loro ancora più energia. Io di mio urlo: “siete troppo brave, più forte!” a ripetizione, come un matto.
Una “sciura” non resiste, esce di casa lasciando la porta aperta e ci segue, avrà ballato insieme a noi per almeno un quarto d’ora. Per un pezzo ci eravamo dimenticati di lei, presi dalla foga di gridare e saltare, sorprendendoci poi nel ritrovarcela nei panni di apri fila.
Ormai il buio domina incontrastato su tutto il paesaggio circostante. Non esistono lampioni o cose simili, solo una mezza luna argentea e stelle gigantesche in questo cielo blu.
I nostri schiamazzi sono l’unica crepa che, oltre al vociare dei grilli e delle cicale, squarcia il silenzio della savana.
Sembriamo una tribù di nativi americani intenti a fare qualche rituale animista, perchè no, anche una danza della pioggia nella stagione secca non sarebbe fuori posto! Nonostante il talento indiscusso delle mie nuove amiche però, l’unica acqua che sento cadere è quella generata dalle mie gocce di sudore, sempre più copiose lungo la schiena, il collo, la fronte.
Mi sono offerto di trasportare il sacchetto più pesante, per consentire a Nadesh e Filomena di ballare libere. Nell’altro pugno ho la mia fedelissima borraccia ormai vuota. Le mie mani impegnate riflettono in terra una versione nuova e sciamanica della mia ombra. Nonostante i pesi non riesco a non lasciarmi coinvolgere dai balli e dalle percussioni fortissime che, a costo di consumare i palmi, le donzelle si ostinano a creare. Con tutta la forza che hanno rinvigoriscono i bassi, sbattendo i piedi a terra, per un attimo mi sembra quasi di essere finito su un tappeto elastico. La terra rossa vibra sotto le suole dei loro sandali, se non fossi così concitato giurerei di aver visto il grande satellite argenteo tremare per un istante.
Vogliamo andare da suor Nicole per ringraziarla di averci concesso una giornata così intensa. La banda in fila per due, fa il suo trionfale ingresso al centro nella notte, più che un’entrata, sembra un’invasione di guerrieri pronti a conquistare e depredare. La potenza del nostro serpentone arriva prima di noi, le luci si accendono in largo anticipo. La mia beniamina ci accoglie a porte spalancate, batte le mani, danza insieme a noi, in preda all’euforia sfila in mezzo al branco con un casco di banane sollevato sul capo. Nel vederle tutti nitriscono e schiamazzano più acutamente di quanto pensavo fosse possibile, persino più di Soumaya.
Non contenta suor Nicole continua con i doni e porta una cassa di frutta da distribuire tra i presenti!
Domato il frastuono le ragazze ringraziano per aver ricevuto il materiale scolastico indispensabile per gli studi. Nicole ne gioisce e vuole che ringrazino anche me per aver intrapreso il progetto di sostegno della maison de filles. Divento bordeaux, non lo dicessero nemmeno, sono io quello che qui deve mostrare gratitudine, trovo ancora immorale il fatto di ricevere uno stipendio per condurre uno stile di vita tanto appagante! Mi dovrei vergognare più che altro! a differenza di quegli uomini di classe capacissimi di ricevere complimenti con uno stile unico e carismatico, balbetto qualcosa tipo: “grazie a voi!”
…ma non faccio in tempo a finire la frase che in coro la banda riprende i propri ululati di festa. Anche sta volta me la sono cavata.