14 febbraio – San Valentino

Tremendo svegliarsi così. Sono mezzo rintronato ma se voglio essere puntuale devo darmi una mossa.

La cosa positiva è che l’acqua corrente mi permette di darmi una bella rinfrescata di idee. La cosa negativa è che sono le 6.40. Alle 7.20 arriviamo alla procura di Garoua. Michele è puntualissimo, ci fa aspettare 10 minuti e si palesa alle 7.30, come da accordi. Lavora nella cooperazione da 20 anni, ha iniziato che ne aveva 23, uno stage come volontario e poi piccoli lavoretti.

Il caso vuole che nella sua associazione fossero tutte donne e che contemporaneamente abbiano concepito 4 figli a testa. In poco tempo ha avuto la possibilità di dirigere le operazioni e i diversi progetti. Una fortuna che lo ha costretto ad assumersi senza tanti giri di parole molte responsabilità.
E’ preparato, ogni cosa che dice è un aiuto per me, una piccola moneta che gli cade di tasca, sta a me raccoglierla o lasciarla lì. Cerco di darmi da fare e assorbire quanto posso, vuole sapere di me, della mia storia, delle ragioni per cui ho preso e son partito da solo per l’Africa. Condividiamo punti di vista, pareri, valutazioni, mi confronto cercando di sollevare alcuni dei miei dubbi riguardanti l’ambito del terzo settore.

Le mie perplessità non sono del tutto infondate, i difetti o le zone grigie che ho intravisto nel sistema possono essere vere in alcuni casi. Si deve sempre contestualizzare e riflettere bene prima di esporsi in giudizi precipitosi. L’Africa non è un codice facile da decifrare. Potrebbe sorprenderti sempre.
Sono molto interessato agli aspetti antropologici che riguardano le popolazioni del nord, ma ancor più attira capire come, in Camerun, le religioni Islamica, cattolica e protestante, siano state capaci di convivere pacificamente per così tanto tempo.

Le invasioni Boko Haram sono un problema esterno, tuttavia trovano terreno fertile in una società ancora conservatrice e radicale. Educando il popolo alla risoluzione pacifica dei conflitti e alla collaborazione si possono isolare le radicalizzazioni, ottenendo così un effetto repellente capace di mantenere all’esterno del cerchio collettivo, i tentativi di immissione da parte di agenti esterni. In un mondo più tollerante, i discorsi estremisti trovano meno spazio, è tanto banale quanto geniale.

Rapito dalle considerazioni che derivano in parte dalla logica acuminata e in parte dalla formazione e dall’esperienza del mio interlocutore, Michele mi invita ad assistere alla sua prossima riunione. Deve incontrare Monsignor Goyek, ex presidente della comunità nazionale protestante, il cui lavoro diplomatico e politico unito al ruolo di capo religioso moderato e tollerante, ha contribuito enormemente alla stabilità interna del paese.
Basti pensare che oggigiorno nella sua comunità lavorano e convivono numerosi membri dei 3 differenti credo, all’unisono, in armonia, creando profitto e guadagno.

La proposta mi alletta e Christian non fatica a supportarmi e sopportarmi. Decidiamo di restare. Manassè è protestante, mi ha spiegato che secondo il suo credo Dio va cercato nella spiritualità e non nella materia. Ci tengo a chiedere elementi aggiuntivi all’eminente ospite. Molto pacatamente, oltre ad accettare di fare una fotografia insieme a me, l’uomo mi spiega dell’importanza di un luogo di ritrovo curato in cui i figli di Dio possano riunirsi come una famiglia nella preghiera. Tuttavia, l’aspetto più nobile, la vicinanza più toccante al credo sta dentro ai cuori di ciascuno dei fedeli.
Una risposta più equilibrata non avrei saputo proprio darla.

Rimango di stucco quando mi chiede il numero di telefono, desidera avere le foto come ricordo.
No va beh, seriamente? C’ho i contatti giusti raga, è ufficiale.

Sono le 9.15 e Christian vuole portarmi a messa nella sua parrocchia (San Pierre), situata proprio accanto alla procura. Problema: abbiamo un’ora buca.
Soluzione: caffè e brioches (o dovrei dire croissant?). Consumiamo il tutto direttamente nell’abitacolo senza nemmeno prenderci la briga di muovere le chiappe.
Sono pronto, possiamo entrare.

La chiesa è un cantiere aperto, enorme. La comunità, attraverso i contributi di ognuno, ha intrapreso la costruzione di un’imponente edificio necessario dato il numero copioso di presenti. Il coro è composto da musicisti esperti. Tastiera elettronica, chitarra, basso, microfoni, una vera e propria orchestra. Si vede che siamo in città. Il mio amico si alza di scatto, vuole chiedere ad un ragazzo che conosce dove poter trovare una chitarra per me.
Missione compiuta, conosce il negozio, domani si va in spedizione punitiva. Già mi vedo trionfante rientrare a Marza con il mio fido strumento a corde tra le mani.
Una sottospecie di menestrello de “noartri”, non mi stupirebbe se una fila di topi seguisse i miei passi in stile “Pifferaio magico!” (piano con le battute a sfondo sessuale, abbiate pietà!)

Ad un certo punto due ragazzi, nel silenzio della celebrazione, cominciano a correrei lungo il perimetro dello stabile, cacciando urli gallinacei da paura.
Un attacco terroristico, di sicuro! Per fortuna siamo in chiesa, le speranze di salvarmi aumentano!. Macché, si tratta di una semplice presentazione, una specie di teatrino di intrattenimento. Fanno il loro ingresso in scena immediatamente dopo anche 4 ragazzotti con una portantina in spalla. Un bambino sui 4 anni vi è seduto all’interno. “Portano all’altare la parola di Dio!”, mi spiega Christian. Il coro attacca fortissimo e tutti iniziano a ballare o a battere le mani. Saremo un paio di centinaia, lo spettacolo ha il suo fascino folcloristico.

Una lucertola nera e arancio passa tra i piedi del pubblico in cerca di luce. Qualche bimbo piange qua e là. Di sicuro tutto è talmente movimentato da dare uno spintone in avanti anche al passare del tempo, il quale, silenzioso e rapido, è rotolato veloce come una slavina arrestandosi alle 12.30.
Il riferimento montano è dovuto al fatto che ci sono 40 gradi e abbiamo lasciato la “Ferrari” esposta al sole. Chiamatela pure: nostalgia!

Il mio braccio destro vuole sapere se per caso mi va di andare al ponte del fiume per gustare un po’ di pesce fresco appena pescato. Ma che domande sono queste? Dovrei quasi offendermi, ovvio che mi va!

Poco lontani dalla riva del Benue leggeri e solidi bastoni di legno sorreggono tettoie arrangiate in paglia con il metodo tradizionale. L’aroma di pesce fresco, scaldato dal sole rovente, mescolato con gli odori delle braci e del pattume creano uno strano profumo. Noto in un angolo delle capre brucare l’erbetta fluviale.
L’occhio vuole la sua parte, dopo aver visto loro, tutto puzza di più. Una donna splendida sta grigliando materia squamata su un fuocherello.

Christian non esita a scegliere, mangeremo da lei, chissà come mai! Sua figlia è ancora più affascinante, ci fa accomodare sotto alla tettoia di lamiera su delle piccole panchette di legno semplice e robusto. Sul tavolino delle tovagliette in plastica circolari occupano il posto dei piatti. Una minuscola teiera di plastica posta all’interno di un piccolo vassoio giace ai piedi dell’angolo sinistro del desco. Dal lato opposto si trova una boccetta di sapone. E’ la toilette e serve per lavare le zampe prima di mangiare.

Qui ci si nutre con le mani, non è un luogo per turisti. Quando mi caccio in realtà del genere sono contentissimo. Pur sapendo che, data la disponibilità economica, riceverò un trattamento da re, mangiare “come un cittadino camerunense” è esattamente uno degli obiettivi che mi sono prefissato.
Non amo cercare cibo italiano quando viaggio all’esterno, resterei a casa altrimenti. A me il pesce neanche piace un granché, specialmente se d’acqua dolce, ma rifiutare è vietato dal codice degli avventurieri, perciò eccoci qua. Dalle mani di donne tanto belle non potrà che venir fuori qualcosa di superbo. Il mio socio si alza per scegliere il menu. 5 minuti dopo la figlia della padrona varca la minuscola soglia della saletta con due grandi piatti d’argento tra le mani. All’interno della decorazione floreale stampata sulla lega metallica, giacciono 2 grosse carpe ricoperte da una salsina e contornate da cipolla fresca e pomodori. Ai bordi della portata scorgo salsa piccante e maionese. A me una birra fresca, Chri opta per il succo, la temperatura dello “champagne” non era di suo gusto, troppo calda per lui. Attacchiamo alle branchie il nemico pesante. Mai in vita mia avrei pensato che il pesce potesse essere tanto gustoso e saporito. La consistenza del cibo è di una leggerezza spropositata, il tepore del succo che accompagna le fibre avvolge il palato, la salsa non fa altro che oliare la sinfonia. Uno spettacolo. Mi rifiuto di arrischiarmi nel mangiare anche la pelle. Il mio compagno di merende ha spazzolato tutto ciò che era visibile ad occhio nudo.

Vorrei fare un giro tra le bancarelle. Detto fatto, meglio non scattare foto ricordo, qualcuno potrebbe non prenderla bene. A parte questo possiamo liberamente bighellonare tra la cappa puzzolente del cibo e delle numerosissime mosche che gli si posano sopra.
Montiamo in auto e torniamo al castello. Io voglio riposare e lui desidera salutare i bambini e magari passare un po’ di tempo con la moglie. Dopo tutto ho già avuto il mio pranzetto a lume di lamiera, direi che può congedarsi tranquillamente.

Nel pomeriggio mi rado, pazzesco, son riuscito a portare a termine anche questo inglorioso compito. Meglio sdraiarsi e riposare un po’.
Cambiarmi la camicia sudata mi infonde un senso di benessere indescrivibile, poggio il dorso sul materasso e mi abbandono ai sospiri. Guardo verso la finestra con aria sognante, una musica lontana riecheggia dalle fessure, un’altra molto più vicina mi scassa le balle: il cellulare, indovinato!

Oramai pimpante a causa dell’adrenalina iniettatami dallo squillo decido di effettuare a mia volta un paio di chiamate importanti. Almeno aggiornare il dottor presidente sulla giornata mi sembra dovuto.
Christian si palesa alle 18.30, vogliamo mangiare qualcosa? Facciamo un salto al “Marquise”, ormai siamo di casa. Pollo in agrodolce con riso bianco e contorno di platano al vapore (servito su un piattino rosso a forma di cuore, molto macho per due energumeni come noi!)

Una Isenbeck per far scivolare il tutto giù bene nell’esofago e via. “Che ne dici se ci fermiamo al fornaio? Un paio di brioches per colazione non guastano, ora abbiamo il gas possiamo farci un tè o una caffè se ci va!”. Come sempre annuisco. Due bimbi frugano nei cestini della spazzatura, portano in spalla dei grossi sacchetti di plastica ronzando come api, scalzi, nei pressi dell’immondizia. Ho le mani piene di  croissant, so bene di non poter salvare il mondo, so bene che non serve quindi sentirsi in colpa, essere riconoscente però aiuta molto a superare questa sfaccettatura della realtà notturna.

Sono pieno come un uovo, tronfio, pingue e appagato. Non dare per scontati certi lussi è un ottimo modo per non trovarsi impreparati di fronte alle avversità!

it_ITItaliano