31 dicembre – Tu quoque frigo

Ci siamo lasciati con me sulle scale della veranda che mi inebrio di aria fresca. Una scena troppo idilliaca per poter durare. Rientro in casa e succedono tre cose ,nel seguente ordine:

-il frigo smette di funzionare definitivamente

-suor Nicole mi avvisa che per il safari ci tocca rimandare al 8 gennaio

-trovo un’altra blatta nel bagno

Intanto il telefono sta per scaricarsi del tutto, l’alimentatore del pc non da segni di vita e la carne nel frigo è sulla via della putrefazione.
Suor Nicole manda Delphin a ritirare ciò che rimane della carnascia puzzolente. Pulisco il frigorifero alla bell’e meglio, dispero per una presa della corrente funzionante.
Ah giusto, non c’è acqua.

Prima di coricarmi provo a rivitalizzare il trasformatore del portatile: è vivo e vegeto. Mi quieto.
Al mattino il frigo ha ripreso magicamente la sua attività, ma tanto è vuoto quindi… chissene. Dopo la dipartita della sera prima, non vi farò mai più affidamento.
Non ho bisogno di lui!  Insomma con la corrente da ieri a oggi è saltato proprio tutto, anche la mia gita.

Il PIANO cambia in questo modo: colazione e pranzo alla grande casa di Yves Pluemy con Godyene, Nicole, Soumaya e Gabriel. La quiete mattutina e l’ottimo cibo mi rimettono il buon umore. Quando Nicole estrae dal
dal cilindro una birra “Isenbeck”, per ora la mia preferita tra quelle camerunensi, bella fresca, torno ad essere quello di sempre.

Sulla strada di casa ci imbattiamo in Giulia (una cooperante internazionale che dirige un proprio centro qui a Marza), non solo è ospitale e gentile, ma sta anche costruendo un campo da BASKET! Manca la chitarra e sono in paradiso. Dice che in questo modo la zona verrà rivalutata, diminuendo anche il tasso di aggressioni durante
il giorno. “Certo, capisco!” replico “No scusa, aggressioni? Non credo di aver capito bene”, Giulia mi spiega che normalmente la strada sulla quale ci troviamo è piuttosto deserta e, proprio per questo, a volte capita che i ragazzi in moto disturbino e borseggino i passanti, specialmente non accompagnati. Chi vuole soldi, chi il telefono. Furtarelli, niente di che.

“Quanto ci vorrà a finire la costruzione?” Non che io abbia così bisogno di sport ma, in tutta la mia codardia,
la diminuzione degli assalti mi sta a cuore. Un paio di settimane ancora e potrò finalmente tornare a dormire, stando alle dichiarazioni della caposquadra non ci vorrà molto di più. Ci salutiamo con l’intesa di rivedersi tra una settimana, mi aspetta un mezzo tour di Marza.

Rientrato trovo i ragazzi tutti presi dal gioco.
Brenda, Nicolà, Yves, Num, Dudu, Benedicte. Tutti lì a lanciarsi addosso dei piccoli limoncini verdi caduti dagli alberi circostanti.
Mi fermo con loro. Ci sarà MESSA sta sera mi dicono, ci andiamo? Non rifiuterei mai, non se si tratta dei bimbi sperduti.

Ritrovo previsto per le 17. Sul piazzale del salone incontro Gedeò (uno dei compari di Marcelin con cui a Natale ho bevuto le birrette).
Mi sussurra che vuole in segreto mostrarmi una cosa. Mi prega di seguirlo con la clausola di non poter rivelare a nessuno il contenuto del nostro incontro.
Sappiate dunque che mi fido della vostra discrezione più che della mia. Mollo a malincuore il caro Nicolà e mi avvio con Gedeò. Mi conduce su un sentiero parallelo
a quello che si prende per raggiungere la grande croce sul promontorio. Comincio a farmi i film. Tra me e me mi chiedo se conosca le conseguenze a cui si può andare incontro per il rapimento di un rappresentante del governo italiano all’estero.

La strada si fa sempre più isolata, non mi sento tranquillo e in più si sta facendo buio. Dovesse succedermi qualcosa in questa sterpaglia non mi troverebbe più nessuno. Dovrei aver timore? Lo squadro mentre mi da le spalle.
Sarà 20 chili di meno e anche una decina di centimetri più basso di me. Dovrei poterlo gestire. Ho la borraccia di latta da 1 litro, gliela tiro in testa nel caso.

Mentre penso a come liquidarlo in caso di aggressione tentando di fare mente locale sulle poche mosse di Karatè apprese nel mio unico anno di arti marziali, dietro di me sento la voce di un suo amico (da lui chiamato poco prima) che si affanna per raggiungerci. Anche lui è uno dei privilegiati autorizzati ad assistere al segreto di Gedeò. Non me la bevo. Dovrò essere rapido, in un due contro uno posso ancora cavarmela ma non devo sottovalutare gli avversari.
In ogni caso da portatore di pace non mi piacerebbe farmi dei nemici proprio sul luogo della missione.

Gedeò si infila dietro all’angolo di una casa, tra l’erba alta. E’ giunta la mia ora? No. Gedeò vuole solo mostrarmi le statue che sta realizzando. Ama l’arte e ogni volta che ha qualche commissione, dopo il lavoro si precipita a preparare il materiale per poter scolpire. Al momento sta lavorando a una miniatura alta circa un metro di Monsignor Yves Plumey intento a dialogare con la madonna, tra i due si frappone un bambino. Steso per terra invece, ancora fresco, giace il calco di Simeone, personaggio che Gedeò intende aggiungere alla momentanea trinità.

Stretta di mano, è un grande. I suoi lavori son FANTASTICI, è un onore per me avere il privilegio di poter vedere l’anteprima in via esclusiva. La sua fiducia è ben riposta, non dirò nulla a nessuno… TECNICAMENTE
non ho promesso di non scriverlo a nessuno, ma solo di non dirlo, quindi sono in regola.

Recupero Nicolà, sono ormai le 18.30.
Udite, Udite padre Alois sta male. Mi sento tremendamente in colpa, temo che i miei ultimi rapporti sui suoi sermoni gli abbiano provocato dei prematuri malanni.
Sono una bestia orribile. La vendetta non tarda ad arrivare. Il prete sostituto dovrebbe palesarsi per le 18.

Alle 18 meno 10 chiedo l’ora della MESSA. Nessuno lo sa. L’unica risposta che ricevo è: il sostituto è in ritardo la messa inizierà tra le 18 e le 19 circa. AH. Un intervallo d’attesa ristretto. OCCHEI.

Alle 19 io, Brenda e Nicolà entriamo nel salone. Due ceri troneggiano imperanti sull’altare, nel mezzo un’ostia. Padre Alois è stato sostituito da un sottile e inconsistente pezzo di pane. Lì per lì non trovo alcuna differenza. Ad un certo punto ci si inginocchia tutti di botto.
Non si capisce sulla base di cosa, ma le persone si raccolgono all’unisono in preghiera. Non posso credere a quello che sto pensando: mi manca il logorroico prete.

Voglio dire per lo meno quando uno parla, anche troppo lungamente, prima o poi si sa che dovrà terminare il discorso.
Un’ostia non ha esigenze biologiche di sorta. Non ha bisogno di ossigeno, non si stanca mai. Come decifrare il momento giusto per potersi rimettere in posizione eretta?
Alcuni pian piano tornano seduti, io la prendo come una sfida personale e così, essendo un ragazzo maturo e non competitivo, comincio a fissare quella che mi sembra la tipa più concentrata. Via via tutti cominciano a sedersi, in ginocchio solo i pochi eletti. Gli araldi del sacro verbo e un pirla, il sottoscritto.

Mi fa male tutto ma non posso fare il debole. Sono arrivato terzo, deduco che la preparazione atletica di padre Alois inizi già a dare i suoi frutti. Sarò stato in ginocchio per più di trenta minuti prima di potermi dire soddisfatto. Nicolà, sempre al mio fianco, dorme sulla sediolina in plastica. Forse non è il povero prete ad essere soporifero, forse è proprio il locale a recare in se un qualche esotico sortilegio.

Il silenzio della sera è interrotto soltanto dal canto dei grilli e delle cicale.
Sono seduto all’altezza della porta laterale (ho voluto provare il brivido di cambiare posto) il leggero venticello notturno mi massaggia il collo.
Ripenso ai miei precedenti veglioni di fine anno. Ho sempre sofferto di ansia da prestazione da 1 gennaio. Sono uno di quelli che, finché ne ha avuto l’occasione, ha infranto la propria normalità durante le notti del 31 in cerca di avventure.

Basti pensare che l’anno scorso ho passato una splendida mezzanotte a Napoli, dove,
quando non esagerano, oltre ai botti fanno eruttare anche il Vesuvio. La dinamica in cui mi trovo ora è diametralmente opposta. Posso letteralmente affermare che per me è tutto o bianco o nero, oggi si va di nero.

Tuttavia questa tranquillità mi va a genio. Non per fare la volpe che non arriva all’uva ma, forse persino quelli come me invecchiano.
Ho vissuto una giornata senza programmi, senza fretta, facendo poche cose avendo tutto il tempo del mondo a mia disposizione.
Non sono neanche le 21, ma comincio a sbadigliare, di sicuro padre Alois dalla distanza ci infonde delle vibrazioni, inoltre Nicolà che ronfa ha il suo peso in questa faccenda.

Il canto finale super percussivo ci riporta in vita. Tutti si scambiano gli auguri di buon anno.
Ci incamminiamo sotto la LUNA piena urlando “Bonne Année!” a squarciagola. A poche decine di metri da casa qualcuno ha appiccato un grande falò per la festa.

Apro la porta serenamente, sembra che quest’anno dopo tutto si sia finalmente deciso a passare.

Ma quando mai!
In cucina il rubinetto dell’acqua mi gioca un brutto tiro. Ieri avrò dimenticato di chiuderlo dopo aver controllato la presenza di acqua corrente.
Pensando di trovare un ladro intento a farsi una tisana faccio un mezzo salto indietro. Niente di grave. La mi attenzione viene attratta da un’oggetto estraneo non identificato. Avvisto una specie di mucchietto di sassi marrone, come un agglomerato di piccole cacchette, proprio all’altezza del lavandino.

Delle forbicine e delle formiche scorrazzano sul pianale della cucina. Afferro l’insetticida e faccio un devasto.
Sono stanco, passerà mai sto 2020? Devo ancora spazzolare i fagioli rimasti da ieri, non saranno lenticchie e cotechino, ma spero siano di buon auspicio un po’ per tutti.

C’è acqua, mi piacerebbe fare una bella doccia. Entro in bagno e chi ti vedo? L’ennesima BLATTA gigante, agonizzante a causa dello spray repellente spruzzato proprio la sera prima. Sferro il colpo finale con la mia collaudata infradito.

Quante carte nefaste avrà ancora nel mazzo questo 31 gennaio? Gli conviene giocarsele in fretta perché da domani si cambia music… Meglio se sto zitto!

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