30 dicembre – Lanciato

Qui a Marza si conduce una vita agreste. Valgono tutte quelle piccole massime inventate per non trovarsi impreparati alle sfighe, tipo: “Quando lavi la macchina piove”.

Avete presente? Si tratta di matematica della quotidianità, una materia in cui sono esperto. Ho già inventato una piccola regolina adatta al contesto: a Marza se c’è acqua non c’è corrente, e viceversa. Da ieri sera il generatore da problemi. Sto esaurendo la batteria del pc, del telefono, il powerbank è quasi scarico, non mi resta che la mia adorata lampada a pannelli solari. Come farò a scrivere? ANSIA. Mi sono coricato con questi pensieri nella testa.

Il mattino dopo, puntualmente, erano ancora lì. Acqua zero, batteria del telefono al 9%. Forgio una nuova regola: a Marza non funziona una bega, quasi sempre.
Ho una fame atavica, da quando ho detto a Godyene che per la cena posso arrangiarmi, la mia pigrizia riesce a convincermi che la sera non ho mai fame, col risultato che al mattino sembro un grizzly uscito dal letargo, o meglio ancora, un orango gigante.

Afferro due banane pronti via, le ingurgito insieme a dei biscotti, mezzo pugno di arachidi, un bicchiere di succo strano alla vitamina D. Ok, esisto.

Ho in programma di andare al mercato con Godyene ma suor Nicole insiste affinché si vada con la macchina, le moto sono pericolose. Mentre mi mette al corrente delle sue preoccupazioni ripenso alla scena di me e Marcelin
che a Natale, mezzi brilli, montavamo in tre sulla due ruote per scendere in paese. Annuisco, certo, ha ragione lei, meglio la macchina.

Partiamo con un paio d’ore di ritardo, sapete come si dice da queste parti: gli europei hanno gli orologi, gli africani hanno il tempo. (Oggi si va di massime).
Godyene al MERCATO gioca proprio in casa. Si districa tra la folla con la stessa agilità con cui Indiana Jones evita le trappole nei templi Maya.
Sacco di patate a ore 13, piegarsi sulle ginocchia, rialzarsi, piede destro sul rosso…ma quand’è che abbiamo iniziato a giocare a twister?

Mi piace molto il casino. Non posso permettermi di sottovalutare il contesto, ma ammetto che ho trovato la nostra scampagnata piuttosto divertente. Musiche, moschee gremite di litanie, clacson, migliaia di voci urlanti, colori sgargianti. Angurie giganti. Dovrei aver reso l’idea.

Prima di rincasare ricordo alla mia personal shopper di fiducia che vorrei colorare un paio di t-shirt nel modo in cui ha tinto le federe delle lenzuola. Almeno quando vado a letto gioco al camaleonte.

Ci fermiamo al laboratorio artigianale del suo amico Sonà che produce proprio di tutto, dall’olio di Neem
(una lozione magica che qui si usa per la qualunque: stomaco, pelle, capelli ecc.) alle saponette di qualsiasi genere.
Ovviamente è lui che ha mostrato a Godyene la via della tinta.
Il colore che cerco è finito… non mi sorprende! Torneremo. Qui le giornate volano ad un ritmo tutto loro.

E’ ora di pranzo e io sto morendo di fame, di nuovo.
Il menù di oggi prevede fagioli bianchi dell’orto di Godyene con porri freschi, accompagnati dalle Banniè (non garantisco sia scritto correttamente): delle palline fritte fatte con farina, latte e uova. Mi sa che, andando avanti così, torno a casa dal terzo mondo con qualche chilo in più.
Nell’attesa delle pietanze mi sparo due pezzi di cioccolato fondente, biscottini, un pezzo di pane e un uovo sodo.
Deduco sia fame da stress, i miei device son quasi tutti scarichi. Sono riuscito a caricare il telefono per un buon 52%, ho defibrillato il powerbank e placato in parte le mie ansie da dipendenza elettrica.

Dopo pranzo provo a studiare in veranda, son pieno raso, non concludo niente per un paio d’ore buone. La corrente è saltata, ancora.
Suor Nicole viene a trovarmi informandomi che domani chiuderemo l’anno in bellezza: la mia presenza si è rivelata la giusta scusa per andare a visitare il parco nazionale che da anni sognava di vedere: il ranch di Ngaundabà nell’Adamawa. “Punta la sveglia alle 7.00 Valeryo, domani si va in gita!”
Ovviamente da parte mia nessuna obiezione, se proprio ci tiene mi sacrificherò. (DAJEEE)

Cammino per la casa alla ricerca di una presa funzionante, niente. Sembro uno di quei rabdomanti col bastoncino in cerca dell’oasi nel deserto. Mi faccio quasi pena da solo. Adocchio la MAGICA pozione al ginger che Godyene mi ha lasciato sul tavolo prima di rincasare, quasi quasi me la bevo in veranda.
Mi gioco un paio di punti percentuali della batteria dell’iphone e gli ultimi mega rimasti per avere la giusta colonna sonora da accompagnare al tramonto.

Ormai ho imparato a conoscere gli orari della brezza serale. Verso le 17.15 si alza un bel venticello fresco che preannuncia il calar del sole, schiaccio play, faccio un sorso: AH! Niente male. Le energie del lauto pasto non mi hanno minimamente abbandonato, ora sono sveglio, reattivo, ho voglia di fare qualcosa.
Ho proprio l’irrequietezza di chi ha un sacco di tempo da perdere.

La mia attenzione cade su Delphin e un’altra ragazza. Camminano piano, fianco a fianco,
stringono nelle mani due grossi secchi pieni d’acqua. Ogni tanto fanno delle piccole soste. Si asciugano il sudore sulla fronte, ripartono. Decido che è il momento di agire. Le ragazze vanno in giro con le ciabattine, io invece, da vero macho (niente…con le infradito mi potrei fare male) metto le scarpe, prendo i secchi nel bagno, mi chiudo la porta alle spalle e mi avvio alla ricerca di una fonte.

Sento un grido. Nel vedermi Delphin caccia spontaneamente uno di quegli acuti da rodeo con tanto di: “Courage!”. Ma de che? Passo in mezzo ad un paio di maialini e giungo al rubinetto. Non va. Ma allora dove han preso l’acqua? Io giustamente, avendo una forma mentis da artista, ho tutto il mio modo di vedere le cose. Mi spiego. L’acqua esce dai rubinetti. I fiumi portano l’acqua dei ghiacciai al mare e il mare, boh, non c’è un prima dei rubinetti! Le elementari non le faccio da vent’anni, non so come funziona, te giri la manopola e quello sputa acqua. Non serve sapere altro.
Mica ho studiato ingegneria io!

Interdetto dal rubinetto secco mi guardo in giro altrettanto seccato. Noto un secchio legato ad una corda vicino ad un buco tornito da pietrone. Che sia un pozzo?
Da solo ad alta voce: “Ma vaaaa, mica l’avran tirata su da qua… figurarsi”. Forse mi son messo a parlare sperando che  rispondesse qualcuno, magari in italiano.
NIENTE.

Faccio un’altra scansione del territorio circostante. L’unica fonte d’acqua nei paraggi parrebbe essere proprio il pozzo. Prendo il secchio. Pausa per guardare in giro.
Mi sento come quei bambini che stanno per compiere una marachella. Sicuro che sbaglio qualcosa, succede sempre, speriamo non mi veda nessuno.
Lascio cadere il secchio, pluff. Mi rendo conto che lanciare il secchio non basta, quello se ne sta li buono a galleggiare sull’acqua, che fare?
Provo a tirarlo su vuoto, si ma cosa me ne faccio del secchio vuoto? Tanto vale tirarlo giù di nuovo. Forse se do qualche strattone alla corda riesco a farlo cadere di taglio di modo che l’acqua entri. Ti immagini cadere dentro al pozzo? Ma vaaaa.

Ci ripenso.
Non è così impossibile in effetti, cioè, son quelle storie da cronaca nera con cui i programmi come “chi l’ha visto” han costruito il proprio successo.
TERRORE. Ora capisco tutto: “COURAGE”. Strattono e do qualche centimetro di corda in più al recipiente che, cadendo sul lato inizia a riempirsi. Taaaack!
Tiro su, pesa parecchio. Arriva Delphin. Le spiego che è il mio primo pozzo. Ride.

Com’è che ogni volta che parlo ridono TUTTI?

Continuo dicendo che questo nuovo giochino non mi dispiace.
Ride: “Sai come lanciare?” la supplico di mostrarmi il criterio. “Faccio scendere il secchio molto vicino all’acqua, a questo punto inizio a dare dei piccoli colpi in su e in giù alla corda, un, deux, trois… lascio”. Si sente un tonfo bello pieno. Pieno come il secchio. Mi offro per tirare su. Questo pesa davvero.

Voglio riprovare. Fallisco miseramente. Due ragazzi si avvicinano per vedere meglio quanto sono scarso. Delphin mi ripete il tutorial, ovviamente lei non canna mai. Riprovo. Raga ce l’ho fatta. Delphin inizia a gridare tutta contenta, io non capisco bene ma grido comunque, nel dubbio ci sta. I ragazzi sorridono.

Ovviamente è il mio unico successo, ho tirato altre tre volte facendo la figura del bischero. Passo la palla a Delphin che riempie i suoi secchi e aggiunge un po’ d’acqua ai miei: “Sei un uomo, sei forte” dice. Sti luoghi comuni giocano sempre a mio sfavore.

Ci incamminiamo verso le nostre case, il peso è abbordabile, ma sento le prese dei secchi che mi tagliano le dita. Indovinate Delphin cosa fa? Ride.
Accetto la sconfitta con sportività. Mi guarda e inizia a correre con i secchi in mano. Mi ha proprio stracciato.
Con la coda tra le gambe la ringrazio per l’aiuto e le auguro una buona serata.

Esco sul pianerottolo della veranda, scalzo sta volta (ormai son lanciato)!
Mi voglio godere un altro po’ quest’aria miracolosa, si sta proprio bene.

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