17 dicembre – Iniziazione
Il mio rapporto con gli aeroporti è sempre stato un po’ incespicante. Ieri ne ho avuto la riconferma.
Arrivo a Malpensa e fin qui tutto liscio, passo il gate e giungo alla zona passaporti, l’ufficiale in carica nota che la mia carta di imbarco non funziona. “Sta passando quella sbagliata!” mi dice in tono perentorio “Ah le ho invertite” replico. Mi guarda: “Si ma passi quella corretta!” “Ah scusi!”.
Supero finalmente il controllo e due finanzieri mi avvicinano: “Scusi lei dove va?” “Yaoundè” “Ma da Addis Abeba?” annuisco. Uno dei due, il pelato, riprende incalzante: “Quanti contanti ha addosso? Motivo del viaggio? qualcuno le ha dato plichi o pacchetti da inserire in valigia? Denaro da consegnare a terzi? Tutto quello che ha in valigia lo ha messo lei? Conosce l’intero contenuto dei suoi bagagli?” Rispondo praticamente sì a tutto, sotto torchio, certo che quel finanziere deve aver fatto anni di esercitazioni e test psicologici per mettere sotto PRESSIONE un povero pirla quale il sottoscritto, beh fatica ben spesa!
Nel mentre vado in PANICO pensando al pacchettino di vestitini per i bambini che mi hanno affidato e che non ho ben controllato prima di mettere in valigia, sbianco di botto, incrocio le dita dei piedi e soffro in silenzio, inizio a sperare vivamente di aver fatto bene a fidarmi degli amici altrimenti dovrò rispondere di falsa dichiarazione alla dogana e potrei trasformarmi da aspirante civilista a contrabbandiere internazionale! Le dita dei piedi iniziano a farmi male il che mi dice che non sono ancora morto. “Sì si agente, tutto io, no no agente, non ho contanti in valigia, si si agente questo è tutto quello che ho addosso” mi guarda: “buon viaggio!” Quello che ho pensato lo censuro.
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Un mantra mi accompagna dalla nascita: “Cominciamo bene!”. Partiamo. Milano – Fiumicino, rifornimento, Roma – Addis Abeba. In Etiopia mi sento già più sul pezzo, trovo subito il gate per salire sul volo interno diretto verso il Camerun. Non sono l’unico non africano. É consolatorio constatare la presenza di una marea di Cinesi bardati pronti a fare da comparse nel prossimo film APOCALITTICO di Tom Cruise, ufficialmente addetti alla procedura di igienizzazione, ma loro mica mangiavano i cani?! Boh, va beh. Un bel sollievo.
Atterriamo a Yaoundè, mi metto in coda, nonostante abbia tutte le mani occupate (cappello di paglia da pensionato, passaporto, carta di imbarco, regalino per Christian, la mia guardia del corpo personale in Camerun) la vigilanza mi obbliga a mettermi il gel igienizzante, la metà del liquido mi cade per terra. Figura di m****! Arrivo in una sala, disposta tipo aula magna all’esame universitario, due donne chiamano dei numeri in francese con la mascherina che tappa ogni sillaba. Mi ritrovo in mano due biglietti uno da compilare, l’altro reca scritto “104”.
Ritorno in stato di panico perché non mi ricordo come si dica 104 in FRANCESE, una delle tipe chiama 35-36-37… perfetto penso, ho tempo di studiare i numeri dallo zero al centodieci. Forse non tutti sanno che i Francesi per dire “ottantadue” ad esempio, pronunciano letteralmente “quattro volte venti e due”, già in matematica non sono una cima, cambiare lingua non mi aiuta. Estraggo prontamente il frasario e mi aggiorno. Ancora una volta i Cinesi si rivelano preziosi alleati, anche loro come me sono in difficoltà nel compilare il modulo di poco sopra, mi sento meno solo. Ma in un momento mi ricompongo e mi rendo conto di conoscere il mio nome perfettamente così come, a differenza dei cinesi messi sempre peggio, conosco anche il numero di passaporto e di visto. Posso gestire la situazione.
Mi chiamano e alla prima domanda, un po’ come in università, arranco un “Non parlo bene francese” e la dottoressa mi risponde “Le ho fatto una domanda in inglese: quanti anni ha?” Bene, esattamente come in Università non so un beneamato… (a mia discolpa dico che il loro inglese è incomprensibile a volte, con la mascherina poi non vi dico!). Mi fanno il tampone e un’altra dottoressa dice qualcosa che mi pare significhi “Se non parla francese qui andiamo male” rispondo “Si, grazie, imparerò” esco di scena.
Ad un certo punto chiamano “Valery Falon”, non rispondo, non sono certo che si tratti di me, la tipa si corregge “Valery Falcon” a beh allora sono proprio io, (l’unico bianco), alzo la mano come un imbranato, la tipa guarda per aria. Il clima è caldo e accogliente ed in perfetta sintonia con il mio nuovo operatore telefonico. Noto infatti che alla scritta WIND è subentrata “orangecaresaboutyou” sul display del mio cellulare, mi sento avvolto da un tepore favoloso. Illusione che lascia il posto al gelido messaggio della Wind che mi ricorda che chiamare costa 6 euro al minuto, ricevere 3 euro, ricevere messaggi in segreteria 6 euro, lasciare messaggi in segreteria 4 euro e che se voglio disattivare i servizi di segreteria devo digitare ##400#. Che poi chi l’ha mai lasciato un messaggio in segreteria? Cara Wind la prossima volta scrivimi direttamente “ANSIA” la vivrei meglio, mercì beaucoup.
Mi salvo dall’ennesimo arresto cardiaco, vado in fila per i passaporti e mi prendono le impronte digitali. Occheeei sono calmo, finalmente arrivano i bagagli: CI SONO TUTTI! Ogni tanto ci vuole anche un colpo di… fortuna.
Yaoundè è una città incasinata immersa nella foresta equatoriale, i colori preponderanti sono il rossastro del terreno e il verde degli alberi. I rumori prevalenti: CLACSON. Non noto odori particolarmente sgradevoli, a dire il vero mi piace molto il posto. Mi guardano tutti e la cosa nutre il mio smisurato ego quanto basta. Christian mi invita a mangiare pollo e a bere lo “Champagne del Camerun” ovvero la BIRRA. Che lo Champagne diventi Birra ha un chè di miracoloso. Tutto buonissimo e abbondante ovviamente. Il programma era di farmi una doccia ma al momento non abbiamo acqua, aspettiamo l’occasione giusta per lavarci e andare a letto. Per un codardo questa giornata vale 10, per me vale 1000, il che riassume abbastanza gli avvenimenti di questa trasferta datata 16 e 17 Dicembre.
Aeroporti non vi temo. Camerun STO ARRIVANDO!