7 gennaio – Setole preziose

 

Sveglia alle 6. Devo essere a casa delle ragazze entro 45 minuti per il servizio fotografico. Oggi il mio compito è farle apparire al meglio della loro forma, di modo da avere una presentazione ben documentata e aggiornata di tutti i loro profili. Questo ci aiuterà molto per il progetto di sostegno allo studio che vorremmo stilare.

Ho bisogno di energia e così mi scaldo il riso di Godyene con la carne al pistacchio avanzata da ieri.
Colazione da CAMPIONI! Giunto alla magione trovo le giovani studentesse intente a spartirsi degli spaghetti aglio e olio.
Qualcuna prepara la schiscetta, qualcun’altra attacca a mangiare direttamente. Suppongo si intuisca che sono un grande estimatore di due cose: punto primo la colazione continentale, punto secondo le persone con un robusto appetito (perchè mi somigliano).
Lancio dei fieri sguardi di approvazione alla tavolata, tutto il mio rispetto! Eseguito il mio dovere, ancora troppo rimbambito dal sonno, scopro di non aver fatto le cose per bene, quando mai.

Vana fu la levataccia. Suor Nicole crede sia meglio fotografarle davanti all’ingresso della scuola. Vorrà dire che mi sacrificherò di nuovo, se proprio devo.  Dopotutto scattare foto a queste bellezze d’ebano non è poi una mansione troppo gravosa per me.
Mi presento in ufficio da Nicole e insieme ci dirigiamo da padre Adolf per discutere del progetto di costruzione della scuola superiore. Sarebbe molto bello creare un unico comprensorio scolastico a Marza evitando che i giovani si facciano 5 o 10 chilometri a piedi per adempiere al loro dovere di studenti. Trattasi di un sogno a lungo periodo, al momento mancano le classi per gli studenti, questione di priorità.

Non faccio in tempo a salutare padre Adolf che incontro Clarisse in marcia nella mia direzione. Scopro allora che suor Nicole ha perso le chiavi dell’ufficio, serve aiuto per cercarle. Mi offro volontario e spendo un paio d’ore con lei. Il mio scarso francese la esaspera ma riesco almeno a comunicare.

Nel giardino della scuola non v’è ombra di ferraglia. Rientriamo e, con mio felice stupore, una sorpresa ci attende alla fine della strada. “Guarda Clarisse, un serpente! Che bello! Spaccano i serpenti, son potentissimi!”

Ovviamente anche io ne ho timore quanto basta per non morire, però il serpente, come molti animali pericolosi, ha sempre avuto un certo fascino, un ascendente ipnotico.
La sua presenza evoca sacrali simbologie, ma anche figure retoriche come “la serpe in seno” o  tutti i film di Indiana Jones.
E’ lui che porta l’avventura e sottolinea strisciando che tu, esploratore da strapazzo, hai varcato la soglia
delle terre selvagge, ma selvagge per davvero, in cui gli animali a piede libero non sono più scoiattolini e leprotti, bensì rettili di ogni forma e dimensione, compreso lui, special guest del “Libro della Giungla”.

Sono proprio in Africa e finalmente mi ci sento. “Clarisse chissà se becchiamo anche qualche leone dai!
Ti immagini che storia?” Credo che per un attimo la mia compagna di passeggiata sia sbiancata malgrado il suo pigmento fondente. Ha una paura folle, si butta in mezzo alla strada senza guardare nè il traffico nè il mio nuovo amico verdastro. Mi avvicino, scatto un paio di foto e poi, tornato in modalità codardo, mi preoccupo di non mettere troppo alla prova la pazienza del possente animale. Ognuno per la sua strada.

Una volta rientrato a casa ho addosso una certa euforia. Mi sovviene una promessa fatta a me stesso proprio ieri. Se sono il bravo ragazzo che dico di essere, oggi devo radermi. Apro finalmente la valigia che, per dirla tutta, all’alba del 7 gennaio non è ancora stata svuotata. Intatta da 20 giorni esatti, chissà se esiste un record al riguardo, mi piacerebbe tanto batterlo. Nonostante io mi trovi in Africa, la mia indole viziata e pasciuta non mi consente di rinunciare a certi
piccoli piaceri della vita.

Radermi, per esempio, è una di quelle cose che mi rilassa, ha un effetto tonificante, rinvigorente, è un momento prezioso. Mi piace sentire le setole di un buon pennello massaggiarmi il grugno con la schiuma. Un po’ come la doccia bollente in inverno, magari con della musica in sottofondo, o il calumè della pace, un vero e proprio rituale. Sì perchè, da nostalgico incallito, io ancora mi ostino ad usare il pennello. Guerra ai clorofluoro-carburi della bomboletta, guerra alla schiuma da barba spray.

Salvietta e pennello secondo l’uso che fu prima del padre di mio nonno, poi di mio nonno, poi di mio padre e ora mio. A dir il vero mio nonno aveva appesa al muro anche una bellissima striscia di cuoio sulla quale, prima del taglio, affilare, ricordo anche con una certa veemenza, la lama del suo rasoio. Di rasoi lui ne aveva tanti, dai più classici, quelli che in tutti i film di malavita si usano per sgozzare gli ignari “nemici della famigghia”, a quelli un pochino meno datati. La gillette non usa e getta per intenderci, con le lame intercambiabili. Ma finiamola qui con la storia del rasoio nel secondo 900′, esiste Google nel caso.

Fatto sta che io ho troppa paura di tagliarmi o di sgozzarmi male proprio come uno dei cattivi dei film di Coppola per protrarre nel tempo questa consuetudine. Mi accontento del pennello e di un “Fusion” 5 lame che viaggia sulle guance come una Ferrari. Giusto, il pennello… dunque il pennello l’avevo messoo…ma dove lo avevo messo???

No perchè mi ricordo di aver quasi rischiato di dimenticarlo a casa, poi ho perso l’aereo quando non mi è arrivato il passaporto, allora ho fatto in tempo a spostare il viaggio e a mettere dentro anche lui. Ma dov’è? Possibile che non lo abbia portato? Mi pare troppo strano. Svuoto la valigia, prima uno scomparto, rimetto tutto a posto, poi l’altro
(non voglio svuotarla davvero, ho un record da infrangere). Non c’è. La richiudo, piena. Cerco ovunque, nel beauty, nei sacchetti di plastica, nel borsone, nell’altra valigia che non è neanche mia. Zero.

Eppure ricordo bene di averlo riposto da qualche parte di modo che fosse a portata di mano. Nello zaino forse?
Nemmeno. Ridisfo e rifaccio la valigia. Neanche l’ombra del mio adorato oggetto. Inizio a stare peggio di quando ho dovuto buttare il mio spazzolino di bambù.
Ho un legame con le setole, dopo l’avvento della calvizie poi, ancora di più. Ricordo allora il consiglio di un amico che mi ha suggerito di utilizzare il sapone in caso fossi rimasto a secco. Si perchè l’ho anche detto agli amici che mi portavo il pennello, come può non esserci?
E’ passata circa un’ora da quando ho deciso di radermi. Altro che relax, sono isterico come una biscia, anzi, contestualizzo, come un serpente.

Entro in bagno sconfitto mentre penso che in città potrei recuperare qualche rimpiazzo senza troppa fatica, non sarà mai la stessa cosa però.
Apro l’astuccio dello spazzolino, quello che mi porto sempre dietr… No aspetta, vuoi dire mica che l’ho messo qua? Ma è piccolissimo, stra pieno di roba, non posso averl… ECCOLO! LA GIOIA.

Un’ora a cercare in valigia qualcosa che avevo già tolto. Bene così. Non mi smentisco mai.
E’ solo un piccolo passo verso il successo. La strada è ancora lunga, troppo lunga, proprio come la mia barba che, imprudentemente ho lasciato infoltire per un tempo eccessivo. Il mio gene calabro-normannico mi ha donato un pelo ispido come uno zerbino di casa, duro come le spazzoline in acciaio per scrostare le padelle.
Il 5 lame non va bene per un pelo così forte, non quando è troppo lungo. La mia alternativa? Una gillette usa e getta a 2 lame.

Ammetto di essere stato sorpreso nel constatare quanto bene tagli l’aggeggino blu. Purtroppo però ogni 30 secondi mi devo fermare per bacchettare sul bordo del lavabo la lametta già intasata del mio vello ribelle. Nel mentre la schiuma che mi ero sapientemente passato si asciuga e allora giù di pennellate, un po’ di lama, un po’ di pennello. Ancora lama e così via. Un’ora per radermi. Mai più.

Nuova regola: la barba si fa una volta ogni 3 giorni, basta rotture di balle.
Alla fine del travaglio il mio mento splende roseo sotto a delle gote da putto barocco. Mi ritengo soddisfatto, ho perso si un po’ di tempo, ma anche 5 anni di vecchiaia in un colpo solo.

Joseph è puntuale e così fresco di barbiere mi applico in francese.
Mi impegno al punto da tardare all’adorazione, qui ritrovo il mio giovane amico Nicolà che aspettava sui gradini per entrare insieme a me.
Non lo vedevo da un po’ e guardandolo mi accorgo che, non fosse per la pelle bianca, sbarbato un po’ gli somiglio.
Ora che ci penso è da qualche tempo che, con l’inizio dei primi lavoretti, non vedo parecchia gente.

Decido allora di passare a fare due chiacchere insieme a Polyne, Nadesh e Angela. Ripetizioni di Francese, preghiere in italiano (Polyne è una novizia che attende di prendere i voti, ma è simpatica, giuro!) e un'”avemaria” in latino che Angela (8 anni) ci sfoggia con orgoglio evidenziando la somiglianza di pronuncia con l’italiano.
Morale mi toccherà dar loro qualche lezione della mia lingua madre. Ci tengono e io, personalmente, preferisco che dicano qualcos’altro oltre alle preghiere, se proprio insistono.

E’ buio, sento un rumore di zanzare minaccioso, il solo pensiero di un’altra notte insonne mi uccide. Meglio battere in ritirata.

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