8 febbraio – Lunedì cinema
Ricordo quando è arrivato il momento di fare le valige in preparazione alla partenza.
Ho iniziato domenica sera alle 18 a elencare ciò che mi sarei dovuto portar dietro.
Ovviamente parlo della domenica sera antecedente al volo previsto per lunedì alle 12.30. Tempo di soggiorno: 10 mesi. Quando si dice: “agire all’ultimo momento!”
Per me funziona così. Alcuni pensano ai bagagli la mattina stessa o addirittura la notte del viaggio. Altri impiegano settimane per sistemare tutto. Io me la gioco mezza giornata in anticipo.
Ricordo che da bambino ero solito fare la cartella poco prima di andare a letto.
Non mi serve tempo, ho già tutto in testa.
La trepidante attesa di uno spostamento, la scoperta, il fascino dell’ignoto, l’adrenalina dei possibili pericoli o delle
probabili disavventure mettono in moto la mia mente, mentre cammino, mentre parlo, mentre lavoro (quelle poche volte che succede), una parte di me rimane distaccata, proiettata verso la destinazione.
Mi divido in compartimenti stagni, uno dei quali è esclusivamente dedicato all’inventario.
Mentre faccio altre cose c’è sempre una piccola spia accesa che mi avvisa, di tanto in tanto, su possibile roba da comprare o da mettere in lista.
Dei tre neuroni funzionanti me ne si blocca uno, poiché impegnato nella redazione dell’elenco. Dunque, prima di un evento importante, sembro ancora più scemo del solito.
Da piccino mi succedeva alla vigilia di natale, non dormivo mai, passavo tutta la notte con gli occhi spalancati al buio nella mia cameretta sperando di carpire qualche rumore, qualche traccia di renne o di magia. Mi svegliavo alle 5 e aspettavo le 6 per poter scartare i regali, ma solo quelli col mio nome sopra. Alle 7 condannavo i miei ad alzarsi per avere le attenzioni di rito. Lì avrò sbattuti giù dal letto all’alba almeno una decina di volte.(Caso mai steste leggendo, chiedo venia!)
L’illusione si mischia all’innocenza del bambino che è curioso, vispo, vigile e vuole sapere. La stessa irrequietezza che mi accompagna ogni volta che c’è da lasciarsi la porta di casa alle spalle. Non è questione di andare a Roma, a Milano o Timbuctù. Quando si supera la mezz’ora di macchina per me si tratta già di un viaggio a tutti
gli effetti.
Da qualche tempo il mio terzo neurone è al lavoro sul prossimo spostamento. Mancano giusto un paio di giorni.
Christian, a quel punto, scenderà con l’auto da Garoua a Marza per prelevarmi e ricondurmi lì, a nord, verso il deserto. Una scampagnata di 4 settimane, molto utile per porre le basi degli obiettivi prefissati all’interno del progetto che seguo come civilista per Cumse. Inoltre una ghiotta occasione per abbeverarmi di paesaggi, usi, musiche, cibi, dialetti e volti diversi.
C’è gente che mi aspetta da quelle parti. Essere atteso e desiderato scatena ancor di più il mio desiderio di macinare chilometri.
E’ lunedì mattina, non ho programmi e il vento mena più forte del solito. Si tratta dell’Harmattan (L’armattano) che nella stagione secca impervia sulle strade polverose, sollevando copiosi nugoli di terra rossa ricchi di germi e batteri mai filtrati prima dalle mie pallide narici. E’ un’aria lunatica la sua, sferza lamate veloci sulle foglie e sui rami degli alberi, disturba la quiete generale quanto basta per farsi notare, placandosi successivamente.
L’Harmattan è vanesio ed egocentrico, per questo non va sottovalutato. Può sembrare dissolto ma è sempre lì, in attesa che gli uomini abbassino la guardia, pronto a coglierli di sorpresa con un agguato caldo, avvolgente e fastidioso.
Lavorare all’aperto, in sua presenza risulta difficile, in un certo senso è un mio alleato.
Quantomeno è socio della mia pigrizia. Non a caso è considerato un disastro naturale. Possiede due capacità contrastanti. In primis, quando è al massimo della sua potenza, può oscurare il sole per diversi giorni. In secondo luogo, nei momenti in cui è mite, porta benessere e rinfresco al clima secco, guadagnandosi il soprannome de: “il Dottore”. Nulla a centrare con Valentino. Oggi 1/3 del mio cervello enumera gli oggetti e i vestiti da infilare nel borsone. Il resto si annichilisce sprofondando negli abissi del web.
Godyene arriva alle 10.30, vuole rassettare casa, camera compresa, e preparare il pranzo. Non c’è verso di convincerla sul fatto che, almeno delle pulizie, posso occuparmene personalmente. Ha come dei pregiudizi in fatto di uomini e faccende domestiche. In Camerun, e ancor di più in Congo, sua terra natia, le due cose non vanno
quasi mai a braccetto. Se insiste, continuerò a poltrire rapito dalle mie “importanti” riflessioni sul nulla.
Mi metto in contatto con il Presidente (Roberto eh, non Draghi), poi con Luisa (responsabile del mio SCU), poi con suor Nicole, ancora con Sophie e, infine, con Claris.
Stanno tutti bene, anche Sophie è in via di guarigione, un tantino debilitata, ma già in ripresa. E’ un donnone forte, ha solo bisogno di un po’ di riposo.
Dopo aver scandagliato le condizioni di salute del Centro, mi abbandono ad un pranzo leggero a base di pollo al sugo e zucca al vapore.
Nel pomeriggio alcuni amici mi chiedono dettagli riguardanti la mia quotidianità: “Falco più o meno a quante messe hai già assistito?”, “Falco anche io ho imparato il francese, senti eh “j’ai la Tour Eiffel dans le pantalon!”, allora che ne dici?”. Siamo molto simili io e i miei compari, scemi uguali.
Ognuno è preso dalle proprie vite e, nella mia serena quiete equatoriale, mi dimentico che la gente seria ha un lavoro ed è occupata nel primo pomeriggio d’inizio settimana.
Mando messaggi random per noia e mi becco l’effetto boomerang ricevendo mille risposte tutte più o meno alla stessa ora. Mi sono incasinato da solo, va beh, non sarebbe la prima volta!
Grazie a questa mossa, in poco tempo esaurisco l’autonomia di connessione, per la precisione alle 17, rimanendo privo di mezzi d’evasione.
Sono costretto quindi a far marciare il cricetino nel mio cranio sulla ruota.
Per un po’ fantastico del più e del meno sdraiato sul letto, guardando il soffitto. Penso ai progetti che mi attendono al nord, alle discussioni che dovrò tenere con i diversi personaggi di spicco in quella zona, cerco di lavorare con la testa, nei limiti del possibile (ho solo due neuroni liberi).
Dopodiché afferro un libricino di poesie e ne pesco una a caso. Parla della storia di un bimbo che, quand’ancora non superava la propria capra in altezza, si innamorò di una certa Clori. Trovando il coraggio di dichiararsi, la fanciulla, intenerita, gli regalò un bacino. Passa il tempo, lei si innamora di altri e ne fa innamorare a sua volta.
Lui raggiunge la maturità e finalmente può giocarsi le sue carte. Lei non lo calcola manco per sbaglio. Il testo si conclude così: “Clori or mi sprezza, io l’amo insin d’allora: non si ricorda il mio amor costei, io mi ricordo di quel bacio ancora”. Morale: non c’è speranza per il lieto fine manco dentro alle poesie!
Ma dove andremo a finire?
Quello che speravo potesse essere un rifugio letterario idilliaco si rivela un pantano di malinconia.
Di fare la valigia non se ne parla, come minimo slitta a domani pomeriggio, almeno sono certo di aver qualcosa da fare. Ricordo che il mio alacre neuroncino è già all’opera.
Godyene arriva per prepararmi una tisana. Sarei capacissimo di farmela da solo, anzi mi andrebbe proprio di portare a termine un compito, almeno 1 dico.
Niente. Con lei non la spunto.
Ho però il diritto di tenerle compagnia mentre scalda l’acqua.
Mi confessa che Soumaya non le da tregua.
Ogni volta che Godyene prova a dormire, la piccolina si sveglia ed esige di essere portata nel letto della
donna. Alla fine la principessina si riposa beata nelle posizioni peggiori, ostacolando in tutti i modi il sonno della mia amica.
Comanda lei a 2 anni, se non ci si sbriga a darle qualche regolina, vispa com’è, rischiamo di ritrovarcela a capo di qualche baby gang nell’immediato futuro.
Auguro ironicamente una “buona notte” alla mia amica, pur sapendo che non lo sarà affatto e mi dedico alla scrittura. Trovare argomenti per oggi non è proprio agevole. Mi servirebbe un diversivo, qualcosa per farla franca. Sto anche finendo di bere la mia citronella. Il blocco dello scrittore sta sempre dietro l’angolo.
Lampo di genio. Nello zaino dovrei avere un paio di chiavette usb, chissà cosa contengono? La prima è vuota con mio grande rammarico.
Altre lacune da riempire. Come se non fossero già abbastanza nella mia vita, lasciamo stare.
Colpo di scena. La seconda custodisce una certa filmografia, roba di qualità. Tutti e tre gli atti di “Amici miei”, “Io e Caterina” con Albertone Nazionale, “L’ultimo samurai” e, dulcis in fundo, un documentario
di Springsteen a Broadway.
Dichiaro ufficialmente aperta la serata cinema. Desolato ragazzi, devo proprio andare!