19 febbraio – Pane, amore e fantasia

La polvere rossa si posa leggera e silente su tutte le cose. Nessuno sa bene come.

Le finestre sono chiuse, protette dalle zanzariere all’esterno e dalle tende africane all’interno. Eppure sul mio computer, sul mio cappello, sui miei libri lei c’è. Quieta anche nel modo di disturbare, attenua i colori, aumenta i contrasti, copre i difetti. Così come la cipria doveva mascherare e abbellire i lineamenti delle cortigiane di Versailles e, ancor prima, degli attori greci, anche lei, forse in modo involontario, smussa gli angoli, spezza la profondità e offusca i contorni.

L’Harmattan è un vento saggio. Lavora lentamente, concentrato, attento. Prima che tu possa rendertene conto ha già preso il sopravvento. Il porta saponetta bianco del bagno è un po’ sporco, l’asciugamano ha delle sbavature arancio, il bordo del cesso è satinato. Le foglie sugli alberi in giardino poi, sono completamente zuppe di terra. Gli alberi hanno assunto il grigio, come se improvvisamente nella notte il tempo per loro fosse passato più velocemente, incanutendo le chiome dei malcapitati. Persino la mia pelle mi sembra più bianca della mia maglietta bianca che invece, mi sembra più sporca.

E’ stata una notte travagliata. I galli dei nostri vicini di casa si sono rotti, nel senso che hanno smesso di funzionare come si deve. A seguito di una scampanata del muezzin in piena notte, l’uno, seguitando a strillare come un’idiota, ha svegliato l’altro. Dopodiché dalle 4 della mattina fino ad ora (7.30) non si sono più fermati. Io sono in quello strano stato di sbigottimento per cui non sono ben certo di aver dormito ma neppure di essere stato sveglio. A giudicare dalla stanchezza che provo alzandomi dal letto, temo di non aver riposato niente. Inutile prendersela col passato, anche volendo, non potrebbe comunque tornare per scusarsi.

Faccio un caffè e scaldo il pane, Christian bolle l’acqua per il tè e apre una scatola di sardine. Ci attende un lungo viaggio e non avere croissant in casa di certo non gli impedirà di fare una colazione come si deve. Se la mette così prendo il burro in frigo. Vuoi non farti un panozzo da accompagnare alla bevanda dei reali inglesi? Mio nonno paterno soleva friggere le sarde al mattino per colazione, prima di andare a guidare i pullman per 10 ore in una città in cui a malapena c’erano le strade ai suoi tempi. Questa sardina su burro delle 8 gliela dedico.

Ore 10 partenza. Si sale. A volte incrociamo camion cisterna colmi di benzina. Prima di essere un autista mio nonno fu camionista. Un’altra delle cose che mi resteranno per sempre in mente di lui è il rapporto che aveva con tali bombe su ruote. “Sempre meglio lasciarseli alle spalle!”. E se per caso non era lui alla guida, si incazz*va come una iena se lo sventurato autista non sorpassava entro 30 secondi di cronometro. Christian la trova una regola prudente e così per tre volte facciamo mangiare l’asfalto ai nostri nemici. Il paesaggio, pur restando sempre ricco di vegetazione arborea, va diradandosi.

I grandi tronchi spuntano qua e là ma sempre più raramente, chilometro dopo chilometro, la terra assume un colore più chiaro sul beige. L’erba secca è completamente placcata in oro dai raggi del sole. Di tanto in tanto le mandrie di zibù dalle corna lunate si palesano ai bordi della strada. Prima di partire Marlise ci ha chiesto di acquistarle un vaso da fiori. Nella regione nord si usa da sempre lavorare l’argilla. A bordo strada giacciono calmi decine e decine di recipienti: caraffe, pentole, bicchieri. Ci fermiamo.

Sembra un piccolo esercito di soldati addormentati. Un ragazzino sordo muto mi fa dei gesti e tenta di comunicarmi a versi. Vuole che faccia delle foto. Volentieri! Chri ha trovato quello che la nostra adorata Marlise ci ha domandato e in più ha comprato qualcosa anche per la sua casa. Io di mio (non mi pronuncio è una sorpresa per il parentado). Chiedo al giovane di prestarsi a fare una foto con me. Lui ne è entusiasta, tant’è che poi mi prende per mano. Faccio fatica a staccarla per salire in macchina. Lasciamo i pacchetti, li ritireremo al ritorno.

Ad un posto di blocco il mio fido compagno di avventura acquista al volo una strana radice giallognola, la spezza in due con i denti e me ne porge una metà. Bisogna spellarla prima di mandare giù. Ha il sapore del mais, la consistenza di una castagna e la forma di un porro. Bizzarra… ma molto gustosa. O per meglio citare chi prima di me si avventurò nel continente nero: “è viscido, ma saporito!” (chi non coglie la cit. ha da recuperare un capolavoro).

Sono circa le 13 quando approdiamo da suor Miriam. Il suo orfanotrofio è situato nei pressi di Maroua, isolato tra i campi, dal suolo sporgono grosse pietre candide. Marmo. Marmo ovunque, la luce ne risalta lo splendore. Il paradosso di questo paese. Non hai un terreno molto fertile, ma ti sbucano blocchi di marmo di enorme valore al posto delle verdure. E’ ricchezza nelle mani di chi non ha i mezzi per sfruttarne le potenzialità. Facile, dunque, approfittarsene maliziosamente.

I bambini mi sorridono e mi si avvicinano curiosi. Un piccolo mi prende per mano. Ha il gocciolone di muco che gli scende dal naso, mi guarda in faccia e ostenta un sorrisone pazzesco. E’ la tenerezza in persona. La nostra ospite ci porta subito a fare una perlustrazione dei suoi luoghi. C’è un magnifico forno a legna, il capo della produzione, Divine (nome epico), si sta occupando di scaldarlo per iniziare le infornate. La vendita di panini potrebbe essere una fantastica fonte di reddito, tutte le comunità circostanti sarebbero certamente interessate all’acquisto di un bene tanto essenziale.

Per il trasporto c’è anche un triciclo a motore. E’ la volta buona che provo a guidarne uno? Magari! Sì perché dovete capire che non basta avere 126 bambini da sfamare e ritrovarsi senza un soldo, non basta sputare sangue e andare fino in Nigeria per trovare un pezzo estremamente necessario alla riparazione della macchina per fare l’impasto, non basta ringraziare in 10 lingue i filantropi che ti hanno fatto arrivare miracolosamente una moto, non basta avere un forno a legna prodigioso. In Africa tutto può succedere. Ad esempio il motore può benissimo avere delle perdite, i contatti dei cavi possono tranquillamente essere scoperti, il mezzo può quindi serenamente prender fuoco di sua sponte. Per l’incredula disperazione generale. E di fatti così è stato.

C’è da tornare di nuovo in Nigeria per comperare un motore nuovo di pacca. Chissà se riuscirò a farmi un altro viaggetto. Il dormitorio per i bimbi è quasi finito, mancano solo i serramenti e il tetto… dettagli insomma! C’è il pozzo, finalmente una buona notizia. Nonostante le difficoltà e la condizione miserevole, i bimbi sono sereni tra di loro, qualcuno piange in cerca di attenzioni, i più grandi aiutano i piccini e se ne occupano amorevolmente.

Suor Miriam è una donna giovane e forte. Ci confessa che all’inizio avrebbe voluto davvero fuggire, andarsene per sempre. Dopo una notte e una mattina di preghiera, insufficienti a donare al suo cuore la pace che cercava, stava per lasciarsi il cancellone di metallo alle spalle. Immersa nel pianto scorse un’auto bianca accostarsi al perimetro del giardino. Pensò si trattasse di un miracoloso aiuto. Era la polizia che veniva a consegnarle l’ennesimo cucciolo abbandonato.

Nessuna donazione, nessun supporto, nessuno con cui parlare. Solo un altro bimbetto innocente. Ma se fosse fuggita anche lei, chi mai si sarebbe preso cura di loro? Fece marcia indietro, vessata dall’ironia della vita, convinta di aver fatto indispettire con le sue preghiere i piani alti al punto da spingerli a impartirle una lezione di humor decisamente inglese. A volte è proprio sull’orlo del baratro che trovi il coraggio di affrontare i tuoi guai. Aiutato anche da una certa codardia che ti impedisce, fortunosamente, di cadere preda delle tue debolezze.

Da domani si comincia il censimento dei marmocchietti. Ore 9 appuntamento qui. Saranno lieti di offrirci il pranzo. Capito? Non hanno i soldi per un sacco di riso in più ma sono onorati di averci tra loro. Suor Miriam insiste e inoltre non ce ne andremo senza prima aver gustato un po’ del loro pane. Le pagnottelle sono a forma di lingotti, appena sfornate, la donna non si limita ad un gesto di cortesia, ne fa impacchettare 8 per sacco e ce li porge con tutta la naturalezza possibile. Sono le 15.30 mi scappa la pipì dalle 12 e non mangio dalle 9: disagio. Non faccio in tempo ad afferrare il bottino che con l’altra mano sto già disfando il nodo sull’estremità della confezione. Un aroma profumato e tiepido mi sale tra le narici. Sembro Homer Simpson quando si addormenta a testa in su sbavando al pensiero di una birra ghiacciata. Uguali. Stessa quantità di capelli per altro. E’ squisito. Con un po’ di creatività si potrebbe davvero costituire una piccola fonte di sostegno per questa gente. Molta creatività! Ho letto una frase di Italo Calvino che calza a pennello: “L’immaginazione è un posto dove ci piove dentro”. Ecco, diciamo che in Camerun, fa proprio acqua da tutte le parti, e siamo nel deserto eh, non volevo dirvelo!

Io ne mangio 3, Chri resiste e si ferma a 2. Arrivati a Guider varchiamo con il nostro massiccio pick-up l’ingresso dell’albergo: “Le jardine paradisiaque”, un posto abbastanza pettinato con marmo sui pavimenti e una grossa tv a schermo piatto nella reception. Doccia e riposo, cena alle 7. Birra, riso e pollo. Proviamo a gustarci un po’ di sano intrattenimento, danno un film del 1975: “Rollerball” una trashata allucinante che pensavo fosse destinata ai paesi asiatici. Pregiudizio da bianco razzista. James Caan, il protagonista, sconosciuto ai più immagino (spero) ha avuto ruoli secondari anche in parecchi film pesanti tipo, uno su tutti: “Il padrino”.

Vorrei raccontarvi la trama ma preferisco indurvi ad una ricerca, ne vale la pena. Le zanzare mi stanno divorando, sarebbe interessante ascoltare un po’ di notizie locali ma la mia debole costituzione me lo impedisce, devo darmela a gambe.

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