10 febbraio – Obbligo di svolta

Me ne sto qui seduto sulla mia seggiolina di legno dopo una giornata abbastanza piena. Di norma dovrebbe essere più semplice raccontare ciò che si ha vissuto, anziché inventarsi qualcosa per riempire le pagine delle giornate vuote. La verità è che non so da dove cominciare.

Ho già usato spesso la linea cronologica come espediente utile alla narrazione. Vorrei cogliervi impreparati, inventarmi qualche colpo di classe atto a stupirvi. Niet, nada, nothing, rien!
Galeotta fu la pigrizia. Potrei cominciare dalla fine? Ci stavo provando ma non mi convince. Magari sarebbe carino spezzettare tutto e mescolare le carte a casaccio.
Dovrei trovare però un filo conduttore capace di tessere una logica plausibile. Troppo impegnativo.

La prima cosa che ho combinato è stata una mezza intrusione a casa delle ragazze, partiamo da qui. Loro erano a scuola, ma a me andava comunque di salutare Claris prima della partenza. Anche perché convintissimo di spostarmi a Garoua domani, deduzione tutta mia ed errata.
Ho riferito a mezzo mondo la data sbagliata senza prima consultarmi con Chris…ops! Filomena mi spalanca la porta, il rumore dei miei passi è coperto dalla voce: “Claris! Dove ti sei cacciata?
Claris!“. Sento dei colpi di tosse: “Sono viva, per tua sfortuna! Arrivo!”. La ragazzona non è nella sua forma migliore. Tuttavia, vista la stazza, posso già azzardarmi a dire che guarirà presto. “Sono venuto a salutarti, vuoi darmi qualche spunto di riflessione prima che io mi ritiri nel deserto a meditare?”.

Ride sguaiatamente, mica me lo ha detto lei di andarmene al nord, non ha nulla da suggerire. Deve cucire dei vestiti per il matrimonio del fratello di Sophie che si terrà il 30. Mi perdo una grande festa.
Non mi fa mai piacere apprendere notizie simili. Un vero matrimonio all’africana. Ragazzi avrei davvero potuto architettarne di ogni. Pazienza, arriverà il mio momento.

Mentre Claris si dedica al vestito per Brenda, io decido di attaccare un bottone sulla fascia di tessuto del mio cappello (qualcuno sa se ha un nome specifico?). L’operazione mi fa tribolare non poco, per la gioia e la soddisfazione beffarda sia di Filomena che della padrona di casa. Mi prendo la rivincita mostrando loro che, pur avendo usato un filo bianco sulla stoffa nera, il risultato è ottimale. Zittire i nemici, quando sono femmine poi, è un appagamento sublime!

Claris mi domanda chi mai mi abbia dato il permesso di uscire dalla quarantena, qualcuno sa dove sono? Ovviamente…no! Mi annoiavo, i test erano negativi, ho la mascherina, sono a distanza, insomma non faccio nulla di male! La mia amica si fa il segno della croce. Mi chiama suor Nicole, leggo il labiale delle ragazze: “per favore non dire che sei qui!”. Non sono mai stato bravo con certe malizie. Esco di casa trafelato e rispondo al telefono, alzo lo sguardo e mi trovo la suora a pochi passi di distanza.

“Buongiorno, come state? Ero alla maison per salutare Claris prima della partenza”. Impossibile del resto negare l’evidenza.
Marcelin è con lei: “Parti domani allora?”. Annuisco. Ennesima panzana.
A mia difesa, trattasi di bugia bianca, scoprirò solo poi la data effettiva di spostamento.

Godyene è già in cucina a spentolare. Pollo al sugo e riso bianco. Da leccarsi i baffi.
Nel pomeriggio mi aspetto l’arrivo del mio uomo di fiducia, nel mentre, per sfuggire alla canicola, decido di intrattenermi con il ripasso annuale di “Pulp Fiction”. Ho scoperto di avere, tra gli altri, anche quello sul pc. Niente di meglio che un po’ del buon vecchio Quentin per ammazzare il tempo, letteralmente!

Alle 15 Christian mi telefona: “Sono quasi, ci sono, sono quasi, sono quasi arrivato!”. Probabilmente gli si era bloccato il verbo sulla punta della lingua.
Rido, lo aspetto con gioia, non vedo l’ora di salutarlo. Alle 16 mi trovo Nicole e lo scuro energumeno sulla veranda. Lei ci lascia soli per poter avere la calma e il tempo necessari a mettere giù l’itinerario di viaggio.

Finalmente Chri mi rivela che domani ci tratterremo a Marza per delle visite semi istituzionali: inizieremo dal centro di Giulia, per poi salutare le suore “Mater Orphanorum”, e, infine, se dovessimo trovarlo a casa, porteremo i nostri omaggi anche  al vescovo. Roba seria.
Sapete, qui certe istituzioni sono influenti oltre che importanti. Io devo recuperare con quest’ultimo una certa cappellata fatta al primo incontro.
Vi ricordate quando Monsignor Abbo è venuto al centro per gli auguri di natale? Beh, diciamo che potrei avergli dato del tu anziché del voi e, potrei anche, involontariamente eh, avergli messo la mano sulla spalla per fare una foto da mandare alla mamma. Così, tra fratelli ci si intende. Pensavo che più si andasse in alto nelle gerarchie vaticane e più ci si imbattesse in personalità di spicco, colte, aperte e per questo gentili. Che ingenuotto. Non è proprio così.

Il vescovo non ha fatto una piega, sia chiaro, anzi è stato contento di fare la mia conoscenza, è giovane e dinamico, può tollerare una scappatella del genere.
Possiamo però essere certi del fatto che, qualche altro suo collega eminente, un tantino più anziano, sarebbe meno comprensivo nei miei confronti. Meglio prepararsi le cose da dire con la giusta formalità quando si devono incontrare personalità di questo calibro. In fin dei conti, che ci piaccia o no, si tratta pur sempre di politica. Argomento con cui non convivo benissimo. Gli ho già mandato un messaggino con le nostre fotone, vedete come imparo in fretta? Sì, sì, proprio al vescovo, mi son fatto dare il numero, mi ha fatto attendere 2 o 3 giorni, ma poi ha risposto in modo molto gioviale.

Mi torna in mente un vecchio detto popolare: meglio non tirare troppo la corda, va a finire che si spezza. Credo che raccoglierò a mani larghe il suggerimento.
Saluto il mio bodyguard. Ho un bel po’ di ossa da lanciare a David (il cane) prima di sera. Ultimamente il furbacchione si è abituato alle coccole e viene spesso al mio capezzale mugugnando per un po’ di succulente leccornie. Appena mi vede, tanto per dire, mi si avvicina timidamente. Nutre sempre un po’ di timore, abituato com’è a sentirsi indesiderato.

Gli mostro un osso. Resiste, non fa una piega. Ha una fame che non vi dico, ma non molla. Lo fissa sognante sul posto.
Ieri si è scofanato il quantitativo che avevo previsto di distribuire a 4 bestiole, tutto da solo. Faccio dondolare tra le dita il bocconcino, le narici del quadrupede si spostano esattamente all’unisono con lui. Poggio l’ossicino sul piede, David cede e si appropinqua alle mie scarpe. Lo scricchiolare del cibo tra i suoi dentoni, indeboliti dalle carie e dall’età, compone una musica leggera ben cadenzata. Estraggo dal fagottino un altro premio. Indietreggio, mi segue ma arrestandosi a metà strada. Mi ricorda Brenda. Penso a quando, ogni volta che preparo l’artemisia, esige di essere servita senza la minima intenzione di venirsi a prendere la tazza.

Sarà questo sacro concetto di ospitalità che impedisce all’ospite di incedere e al padrone di casa di esitare. Procedo in avanti di un passo, il cagnoletto mi imita. E’ un incontrarsi a metà. Mi strappa dolcemente dalle mani quello che resta della coscia di pollo del mio pranzo.
Ho in serbo anche dei piccoli lembi di carne e un po’ di pelle, gioisce con gli occhi. Non è autorizzato ad abbaiare. Qui non si sente un latrato nemmeno per sbaglio fino alle 23.30, 24. Dopodiché il regno dell’uomo lascia il posto a quello animale e di notte si odono grandi battaglie canine, all’ultimo sangue.
Di frequente la sera li ascolto prima di coricarmi. I toni selvaggi, spontanei e rabbiosi mi avvicinano ad un mondo sommerso che a Marza, di giorno, resta celato dalla quotidianità di noi vertebrati eretti.

Se quelle bestie si azzardassero a farsi notare così in pieno pomeriggio, verrebbero linciati all’istante. La natura domina incontrastata su tutti, ma l’uomo, in Africa, detta legge sul resto. E’ la specie più forte. Lo si vede nei bambini come Noa che a 18 mesi, alti meno di un metro, afferrano i bastoni e rincorrono qualunque bestia nei paraggi. Polli, galline, corvi, maiali, cani. Poco importa. Ho visto un pastore di 6 o 7 anni portare al pascolo una dozzina di grandi zibù dalle corna lunate. Minuto ed esile, le spronava vigorosamente con la verga affinché si dessero una mossa.

Soumaya però, da donnina di classe, non è convinta di queste mie teorie e si riserva quelle pose molto femminili proprie dell’eleganti dame di città, poco avvezze a trattare con la fauna selvatica. Stava per corrermi incontro, non ci vediamo da quasi 10 giorni, ma la vista di David la fa rabbrividire. E’ troppo orgogliosa per ammetterlo e così, invece di spaventarsi, dipinge un broncino collerico mettendo le braccia conserte. Di avvicinarsi a noi non se ne parla. Noa è in braccio a me, non posso baciarlo.
Me lo strapazzerei di coccole ma, dopo la malattia, mi sono ripromesso di avere più cautela con i piccoli.

E’ sorpreso dal grattarsi di David, pieno zeppo di pulci.
Soffre continuamente ed è costretto a mordicchiarsi praticamente senza tregua. Il bimbo strabuzza gli occhioni, non lo sapeva, aveva la mano già pronta a menargli uno schiaffo ma, alla luce dei fatti, la ritrae pacificamente, è desolato per l’anziano quadrupede. Elisabeth convince Susu che, facendo il giro più largo del mondo, si viene a sedere proprio accanto a noi sugli scalini. “Non pensare mica che sono arrabbiata solo per il cane eh”. Questo mi dicono le sue sopracciglia ancora corrucciate. Le braccia sempre incrociate sul petto. Le spiego che son stato malato, che mi dispiace, mi è mancata tantissimo, la pensavo continuamente, volevo tanto vederla. Non è convinta.

Noa gioca con me, molla un piccolo peto in silenzio. Scoppio a ridere. Lui furbo aspetta un po’ e poi
segue la mia risata. Nemmeno Susu a quel punto può sottrarsi, si unisce al coro di scemi. Poverina, che esempi le mostriamo! Ragazzi che ridono delle proprie flatulenze. Cerca di non imparare da noi piccola mia! Siamo cretini… è un dato di fatto. Prendo un bastoncino e inizio ad accarezzare David, Soumaya guarda attenta, tesa, rigida. “Vedi? Non è malvagio, è mio amico, si chiama David, è buono, non fa nulla!”. L’idea di toccarlo non la sfiora nemmeno, la scena ad ogni modo la tranquillizza.

Manassè giunge con Moses, Michael e Uandui. Inizia a tirar vento e per i cuccioli è tempo di rientrare, sono ancora convalescenti, entrambi si portano dietro una tosse piuttosto antipatica. Vorrei fargli una foto prima di salutarli. I due si scambiano un bacino e io mi lascio andare all’emotività: “un giorno verrò al vostro matrimonio! Avete pure la stessa età, che storia!”. Godyene scoppia: “Sarà difficile Vale, sono fratelli!”. Si avvicina l’uscita del mio prossimo libro: “Come diventare lo zimbello della situazione in 3 secondi!”, a breve in tutti i negozi.

Congedati i pischellini mi unisco alla banda dei Bad-boys. Manassè sta litigando con una grossa e pesante graffettatrice, gli hanno affibbiato una busta piena di quadernetti delle ricevute da pinzare. Una noia mortale. Per fortuna c’è spirito di squadra. Tutti insieme riuniti sotto al minuscolo portico adiacente alla stanzetta del mio altissimo amico ci perdiamo in chiacchiere. Io passo i quaderni, lui pinza, Moses imita la voce del presidente Paul Biya che domani,
in occasione della festa della gioventù, parlerà in diretta televisiva. Il solo pensiero della massima autorità sui canali nazionali mi riporta all’era dei DPCM straordinari. Un brivido mi sale lungo la schiena.

A causa del Covid e dei recenti aumenti registrati, domani ci sarà solo il torneo di calcio ma non la solita sfilata tradizionale. E’ la seconda festa che mi perdo da sta mattina…girano un po’ le balle. D’altro canto ho poco da lamentarmi, meglio qualche piccolo sacrificio piuttosto che rivivere, anche solo lontanamente, gli scenari europei. Potendo scegliere però buttavo giù dalla torre il calcio e tenevo la sfilata.
Le zanzare iniziano a roteare minacciose. Si pensa sempre agli animali feroci di questo paese e si sottovaluta la letalità degli insulsi insettini che, con una sola punturina, possono mettere Ko umani pesanti come orsi. Dopo le 50 flebo direi che me la batto in ritirata, meglio non provocare la dea bendata.

Ed eccomi qui, sulla mia seggiolina di legno, col culo a strisce perché i cuscini sono fatti per i deboli. Da una parte i malinconici saluti mi attendono dietro l’angolo, dall’altra, oltre la curva, si aprono le porte di una nuova avventura.

Il mondo è grande, il tempo è poco e la vita è una sola.

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