3 gennaio – Un quasi miracolo

Il giorno 3 è partito in modo più claudicante del suo precedente collega, il caso vuole, proprio per le 3 seguenti ragioni.

PUNTO PRIMO: mi sono svegliato alle 3 del mattino (ho capito che il 3 me lo devo giocare alla lotteria), grazie
all’accompagnamento musicale del muezzin della moschea vicina.

Mi è già successo, ma sono sempre riuscito a riaddormentarmi in pochi minuti,
sta notte invece, nel rigirami sotto il lenzuolo in stile cotoletta, lo sguardo mi è caduto sul poster di San Conforti. Con quell’espressione austera poi chi dorme più?!
Ho conosciuto un ragazzo in chiesa il cui nome è Mercidié (letteralmente “grazie Dio”, ennesimo nome allucinante) che si è presentato alla comunione con una maglietta nera e oro firmata “Penthouse”. Ovviamente non potevo non presentarmi ad un personaggio di tale caratura. Proverò a chiedergli se riesce a procurarmi qualche poster, per così dire, alternativo al fine di conciliare meglio il mio riposo.

PUNTO SECONDO: c’è la messa. Padre Alloise è tornato in piena forma. Sono contento per lui, nel bene o nel male, non è cambiato per nulla. Vi dico solo che il percussionista oggi è andato per un attimo fuori tempo. Vi basti e vi avanzi. Ah già, devo anche dirvi che Dudu ha battuto il record di pennica nazionale Camerunense, si è addormentato prima
dell’ingresso del parroco e si è svegliato solo dopo la fine della messa. A quanto pare non sono l’unico ad aver riposato male.

PUNTO TERZO: in soggiorno ho trovato un altro biplano intento a chiedere il permesso di atterraggio alla torre di controllo. Insetticida e ciabatta stanno a Valeryo come John Rambo sta a quella imbarazzate fascia legata sulla fronte (o al suo mitra, fate vobis).

Mezzo rimbambito dalla nottataccia mi rifocillo con un po’ dei Benniè avanzati. La messa è durata meno di tre ore, il che per me è già un miglioramento.
Godyene, anche se non ho ancora finito la cena che mi ha preparato ieri sera, mi si è presentata a casa con l’intento di farmi assaggiare i fagioli rossi.
Mentre mangio come un bue dalle corna lunate (altrimenti chiamato “Zibù” in questa regione) ho avuto una conversazione piuttosto interessante con la mia maestra di masseria…

Tutto è partito da un avocado che suor Nicole mi ha regalato. Non sono particolarmente fanatico di questo prodotto di madre natura. Conosco le sue proprietà nutritive strabilianti e non lo disdegno. Tuttavia non lo trovo così straordinario. Anzi, proprio per il fatto che ultimamente, nel milanese e limitrofi, questa pera equatoriale verdastra sia diventata drammaticamente chic, io vi nutro un certo senso di antipatia.

Che poi che gusto ha sto coso? Dopo la mia esperienza infelice con l’aggiunta del caffè, confesso che non sono molto propenso all’assaggio. Soprattutto dopo aver ottenuto con quella stramba e alchemica cremina il gusto, a me già ben noto, di castagna (per altro, se avessi avuto voglia di castagne forse non avrei deciso di vivere vicino all’equatore per i prossimi 10 mesi, lasciamo perdere).
La consistenza è quella di un burro (ma vegetale, quindi senza la soddisfazione del pesante grasso animale che unge così bene le budella) e il sapore è davvero tenue, quasi impercettibile. In pratica “al naturale” come lo vende bene Godyene non sa quasi di nulla.

Le spiego che in Italia oltre ad essere molto costoso è anche un frutto “che fa figo”, un sandwich al salmone con un paio di fettine ti costa poco meno di una decina di euro in centro città.
Vogliamo parlare del fatto che la produzione intensiva di avocado (da parte di alcune multinazionali) sta privando dell’acqua potabile una buona parte dell’America latina?

Non riesco proprio ad andarci d’accordo, anche se ammetto che accompagnato con un po’ di riso bianco costituisce un buon pasto leggero.
La mia maestra vuole poi conoscere qualche altra peculiarità italiana.

Per ragioni abbastanza evidenti approdiamo all’argomento “pesce crudo”. Il “sushi” per Godyene è qualcosa di marziano, ancora da inventare, mai visto prima ne mai sentito.
Le spiego la derivazione dalla tradizione giapponese: troppo orientale da queste parti (c’è già la Cina a causare non pochi pasticci culturali).

Non si capacita di questo fatto di “non cuocere il pesce”, cioè fa male… la salmonella… le spiego che prima, per precauzione, viene infatti messo in abbattitore, replica che questo priva la materia di tutte le sue sostanze nutritive. Ha ragione. Le dico inoltre che tendenzialmente un buon sushi è anche costoso, motivo per cui continuerò a mangiare lietamente al desco familiare. Non resiste, ride. Fa male, non ti nutre, non è cotto e costa caro…robe da MATTI!

Ho trovato molto interessante questo suo tema: “io non sono una persona influenzabile, se mi chiedono di mangiare il pesce crudo non lo mangio”.
Un po’ come quando la nonna ti insegna a non buttarti dalla finestra, anche se dovessero chiedertelo gentilmente.
Il discorso di Godyene non fa una piega. Ma non ho alcun interesse a continuare la mia invettiva contro il pesce crudo, dunque la smetto.

Pieno come un uovo mi distendo sul mio materasso col buco in mezzo per tentare di agevolare, attraverso leggende metropolitane mai provate scientificamente, la mia digestione. “Il pisolino digestivo” (ciao proprio) non dormo nemmeno con l’etere. Mi arriva un messaggio, è suor Nicole che mi avvisa; ore 17 rosario in cappellina. Signori miei qui finisce che apriamo, per la prima volta nella storia, la pratica per la beatificazione di un soggetto ancora in vita.

Se vi dicessi che mi sono divertito a dire il ROSARIO? Un tantino estremo, lo so, eppure…qua si canta, si balla, si fa casino quando si prega, le ragazze cacciano degli urli da coyote, poi pausa, un raffica di ave Maria, canto di chiesa contenuto, di nuovo tormentone spettinato.

Insomma ad una certa sono stato chiamato in causa e mi son ritrovato a reggere un cero nel mezzo della cappellina mentre tutti in coro mi facevano le feste. Conosco dei narcisisti che pagherebbero per un simile trattamento, in effetti potrebbe essere un bel business, domani ne parlerò a suor Nicole.

La chiesa diventa un punto di ritrovo qui dove in giro c’è ben poco da fare. Dopo il rituale si aprono delle dinamiche abbastanza coinvolgenti. Sistemare le sedie diventa la scusa per fare 4 chiacchiere, cantare una canzone, ballare ancora un po’. Ci si incammina tutti insieme dalla chiesa verso le proprie case, ci si organizza per rivedersi il giorno dopo, ci si augura buona serata.

In pratica se riesco ad installare una spillatrice per le BIRRETTE nella chiesetta per il post messa ho trovato la quadra.
Io, Manassè, Moses, Godyene e Soumaya ci ritroviamo poco davanti alla mia veranda con la canzone “Cueillons les fleurs de l’esperance” a manetta sul cellulare, esprimo il mio desiderio di suonare. I numi hanno le orecchie tese ed evidentemente sono stati commossi dalla recente impennata della mia curva delle frequenze di luoghi sacri negli ultimi giorni.

Moses, toccato da Ermes, dio delle malefatte, dei ladri e dei mercanti, si illumina: “C’è una CHITARRA ed è in casa mia.” “Cosa? Dici davvero?” Miracolo!
Da sempre la chitarra esercita un ascendente particolare su di me. E’ un oggetto mistico, capace di materializzarsi nei luoghi più insoliti, proprio quando meno te lo aspetti. Nella soffitta del nonno di una tua amica, dietro al magazzino del mercatino dell’usato, nella cantina del custode del palazzo, sotto il tendone di un lunapark. Qui sta il bello, lei c’è. Abracadabra: PAFF ecco che ti appare una sei corde nella casa senza indirizzo di una frazione di Ngaounderè. SPAZIALE.

Ci si raduna tutti intorno. Sì perché ha anche poteri magnetici. Fai un accordo ed ecco che le folle si accalcano. Non ti va giù qualcosa che normalmente non potresti dire, con la chitarra in mano puoi dire tutto quello che vuoi. E’ la spada dei giusti, la voce dei timidi, lo scettro degli incompresi. In più fa stare tutti meglio. Anche se la afferra un bambino che comincia a sfasciarla con foga, lei non si lamenta, anzi tira fuori qualcosa da tutta quell’energia.

Insomma la notizia mi ha dato una certa eccitazione.
Gli do le chiavi mentre uso per la prima volta, dai tempi delle elementari il tempo imperativo: Prendila!
Una cinesata, verde pistacchio, per bambini ma ai miei occhi è un’oasi nel deserto.

A guardar bene, purtroppo, si rivelerà solo un miraggio.
La chitarra è sempre stata nell’ufficio di suor Nicole, lo stesso che per pudore e discrezione non mi sono mai permesso di aprire. La porta di fronte alla mia camera. Dieci giorni senza suonare.

L’ironia della vita direte voi, calma, quella arriva tra un attimo. Scarico un’applicazione per accordarla, consumando gli ultimi mega rimasti, operazione lentissima. Accordo il mi, poi il la, arriva il resi spezza il sol!

NOO! Ma noo! Daai! Ma sarò cretino?
Ebbene si, sarò e sono un po’ un cretino. Ma del resto l’ho capito appena l’ho vista che non sarei riuscito ad accordarla per bene. Corde dell’età paleozoica, meccaniche scadenti.

Manassè conosce un posto in cui comprare una muta di corde nuova. Dopo scuola se gli do i soldi va lui a recuperarla.
Anche spezzando una corda è possibile creare dei legami. Eccovi l’ironia promessa. Manassè e Moses sono elettrizzati all’idea di imparare qualche rudimento.

Sto ospitando quattro persone nel soggiorno della prima casa in cui vivo solo. Sento involontariamente di star prendendo le sembianze dell’oste gentile che offre bicchieri freschi e viveri ai propri ospiti.

E io che pensavo di inselvatichirmi nel continente nero!

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