5 gennaio – Livin’ On A Prayer

Dopo aver isolato l’unica zanzara presente in casa nel soggiorno, mi sono coricato dolcemente.

Ho dormito circa dalle 21 alle 6.30 e mi sono alzato più carico del tipo vestito con le pelli di leopardo che urla sulle liane nella pubblicità delle Gocciole Pavesi.
Sono talmente di buon umore che avrei voglia di fare una di quelle robe da bravo ragazzo che di tanto in tanto si fanno per mettersi a posto la coscienza, tipo… to’ il bucato per esempio, o tutto quello che rientra nella categoria delle “pulizie” (che nella mia lingua significa: rotture di balle!)

Sono finalmente in vena di lavarmi i pantaloni beige che avrò addosso da almeno sei giorni.

Ops, non c’è acqua. Era destino che li indossassi anche oggi. L’Africa, se sei pigro, è un posto bellissimo, ti piovono dal cielo questi piccoli regali gratuiti, son sogni che si avverano. A casa non avrei avuto scampo.
Nessun problema per me.

Peccato però, ero veramente motivato. Sarà che normalmente in Italia dormo sei ore per notte, massimo sette, ma oggi ho proprio l’istintivo impulso di agire. Sono rifiorito. Mangio il riso avanzato dalla sera prima per colazione solo per lavare la pentola. Non mi va che Godyene faccia proprio tutto. Chissà che fine ha fatto quel mio bel discorso sulla conquista dell’indipendenza e bla bla bla? Minimo lavo la pentola, anche le tazze già che ci sono, crepi l’avarizia. Tronfio di soddisfazione decido di mettermi a leggere un po’, sono ancora le otto e non ho impegni fino alle undici.

Godyene e Soumaya si palesano alle 9.30. Spiego alla mia tutor (da me eletta tale a sua insaputa) della questione pulci/pidocchi. Ammette la loro esistenza, ma non ne ha mai viste in questa casa. Le mostro la camera da letto. Le indico il punto esatto in cui ho beccato gli animaletti saltellanti.
Dubita siano pulci, più probabile che si tratti di qualche insettino caduto dal controsoffitto di legno. Sono molti gli animali che si annidano nelle case africane, i mattoni del resto sono fatti di terra, ma questo già lo sappiamo. Dopo una breve scansione dell’ambiente circostante decidiamo all’unanimità che è tempo di cambiare le lenzuola, perché fanno schifo. Con la scusa diamo un’occhiata più ravvicinata alle condizioni del materasso.

RIVOLUZIONE!
Lo sollevo di peso e lo porto sulla veranda, ben esposto al sole, di modo che i 32 gradi equatoriali sterminino qualunque forma di vita superstite.
Finalmente trovo il modo di impiegare il mio buon proposito mattutino, afferro la scopa e inizio a pulire sotto il letto.
Chili di polvere e una blatta mezza morta. Infame. Caso mai ve lo steste chiedendo la risposta è: no, la casa non è abitata da spiriti protettori. Il motivo per cui trovo le Mende sempre mezze morte è che ogni mese suor Nicole effettua un trattamento con del veleno in polvere che neutralizza gli obbrobriosi insettoni. Siano benedetti la scienza ed il progresso!

Non esiste che Godyene faccia le cose tanto per farle. Decide che la mia camera deve tornare a splendere. Prende una spugna nuova di zecca, secchio e straccio e comincia a ruzzare sulle piastrelle, poi mi chiede il permesso di pulire anche il bagno. CAPITO? Mi chiede il permesso.
La discrezione cortese e il rispetto per l’intimità dello spazio privato, oltre che la sacra ospitalità mi fanno pensare. Godyene sostiene che questo atteggiamento è tipico del popolo congolese, stirpe da cui lei discende. Ovviamente è proprio anche del Camerun ma in forma meno marcata e, sfortunatamente, sta via via perdendosi.

Soumaya concentrata, appoggiata allo stipite della porta (non sia mai che cada), coordina i lavori. Scappo alla riunione.

Suor Nicole apre il discorso con una preghiera, poi mi annuncia all’equipe e presenta ufficialmente il mio programma di lavoro. Il canto sacro come incipit iniziale mi suona un po’ bizzarro, ma prendo le cose come vengono.
Questa formalità mi impegna per una quarantina di minuti.

Al mio ritorno trovo un profumino di pollo al sugo ad accogliermi ed una camera da letto linda e pulita come non l’avevo più avuta da prima di partire.
Tanto è luminosa che già so di non riuscire mai più a replicare un simile risultato, commosso faccio una foto per non dimenticare.
Tempo mezza giornata e tornerà a dominare l’usuale tugurio che da sempre caratterizza la mia presenza in un luogo.

Soumaya nel mentre, da brava matrona, si è pure cambiata d’abito. Quanto può essere adorabilmente vanitosa una bimba di 2 anni? Le ha già tutte vinte!

Dopo pranzo la vita scorre sempre molto serena. Mi metto sul divanetto del soggiorno a studiacchiare francese. Il maestro Joseph si presenta puntuale, per davvero sta volta. Vuole pregare prima di iniziare. NO, ANCHE LUI? Immaginate che il vostro insegnante di ripetizioni, subito dopo essere arrivato a casa, estragga un rosario dalla tasca
e vi prenda per mano dicendovi quanto ci tiene ad ritrovare insieme a voi la giusta energia per lo studio attraverso il divino. Qui si prega prima di fare la qualunque. Vorrei obiettare. Dire almeno che non c’è bisogno di tutta questa formalità. In fondo persino il prete brillantissimo (sostituto straordinario di padre Alloise) ha detto che sgranare il rosario a macchinetta non serve a nulla senza la spontaneità.

Il punto è che a differenza mia, che sono in imbarazzo, Joseph è completamente a suo agio, è normalissimo per lui, come se fosse una stretta di mano un po’ diversa, ma pur sempre un semplice saluto.
Eh niente, taccio bellamente, trovo un sorriso nello scatolone degli oggetti smarriti e me lo appiccico in faccia. Tutto vorrei fuorché offenderlo, apprezzo la sua sincerità e sento di voler rispettare il suo credo. Forse ci sono ragioni ben più profonde per cui il mio maestro sente il bisogno di esprimere la sua gratitudine ad alta voce, quanto più spesso possibile. Probabilmente sarebbe sciocco ed anche un po’ arrogante giudicarlo precipitosamente. Ho come la sensazione che, col tempo, capirò.

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Sia come sia, Joseph mi sta proprio simpatico e quindi cerco di dare il massimo mostrando tutti i miei progressi di lingua. Lui ne è entusiasta, i complimenti mi mettono un po’ a disagio anche se sfamano l’appetito atavico del mio ego. Chissà se Joseph si mette a pregare anche davanti ad un birroccio al baretto.
Mi sta giusto sorgendo una certa curiosità. Penso che mi ci vorranno ancora un paio di lezioni prima di prendermi impunemente la confidenza di invitarlo. Attendere è la chiave di volta.

Ore 18, il sole sta calando ma io voglio cacciare la testa fuori di casa. Vado da Godyene. Non c’è. In compenso trovo Manassè, Moses, Delphin, Pelagin e un altro ragazzo di cui non so ancora il nome (ma, a mia discolpa, so che studia biomedica).
In un tennis linguistico iniziamo a scambiarci battute in francese, poi in italiano e ancora in un inglese misto ad una
lingua africana di cui non ho capito un ACCA. I pipistrelli cominciano a scorrazzare liberamente sopra le nostre teste. Il solo pensiero di quante zanzare verranno divorate dall’orda di questi piccoli cavalieri oscuri mi procura una gioia incommensurabile. Volate mie piccoli amici neri, razziate, depredate, fate man bassa, non voglio testimoni!

Qui è più buio del solito, il generatore è saltato per l’ennesima volta. Ho proprio ben presente il ricordo di quando Marcelin mi aveva assicurato il suo perfetto funzionamento.
Se, come no.

Non c’è acqua… peccato, mi tocca inaugurare il mio super letto profumatissimo nel peggiore dei modi: bello lercio!

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