23 gennaio – Dolce far niente

Nonostante la mia intenzione fosse quella di dormire fino minimo alle 8, ho dato gas ai motori verso le 6.40 del mattino.

Non ho impegni fino alle 11.30, posso giocarmela con astuzia. Prima di tutto colazione spartana e bucato! Approfittare del fatto che c’è acqua è sempre una bella mossa.

Dopodiché potrei serenamente gustarmi un succo di zenzero e curcuma in veranda ma nel mentre Nicolà, Dudu, Yves e Brenda mi sbucano davanti all’ingresso. Hanno trovato i cani e vorrebbero andare con me a lanciargli le ossa.
Affare fatto, ma prima bevo il succo! Lo vogliono anche loro giustamente. Distribuisco i bicchieroni di plastica e truzziamo alla nostra salute.

Infilo le scarpe e scendo in strada. I cani hanno paura di noi, tutti tranne una, si tratta di un’esemplare femmina un po’ anziana, bellissima, taglia media, nera e marrone scuro a chiazze. Non percepisce il pericolo e dopo un paio di tentativi si fa lasciare il bottino sotto al muso. E’ ancora troppo presto per le carezze e la fiducia: qui i quadrupedi scappano alla sola vista dei bambini, figuratevi degli adulti! L’animale in Africa ha mantenuto l’antico status di assoggettamento. Si tratta di una domesticazione primordiale in cui il cane è libero, senza guinzaglio, senza padrone e, spesso, senza nome. Il prezzo da pagare per tanta indipendenza è il fatto di doversela cavare da sè quindi, anche senza aiuti.

Ogni tanto ci sono anime pie che si preoccupano di accudirli in qualche modo, dando loro un po’ di cibo da sgranocchiare, ma nulla di più. La bestiola non si sogna minimamente di essere lavato, infiorettato, incappottato e infilato in qualche Louis Vuitton. Il cane africano si tuffa nei rigagnoli durante la stagione secca e approfitta della pioggia nei sei mesi successivi. Il mio sogno di portarne uno all’ombra della veranda tra i banani dovrà attendere.

Dietro casa di Pelagin, delle donne hanno acceso il fuoco e tribolano appresso alle loro grosse marmitte di
metallo pesante. Una contiene acqua per bollire gli Inniam (una specie di patata dalla consistenza più dura e dal sapore simile a quello di una castagna), l’altra più bassa e larga, buona per le fritture di platano.
Sono i preparativi per la festa che si terrà lungo tutto l’arco della giornata alla scuola primaria!

I miei adorati bimbi sperduti vogliono giocare ai piccoli fotografi, di conseguenza ci si mette tutti in posa sul grande lavandino in pietra adibito al lavaggio di stoviglie e abiti. Prima è il turno di Nicolà, poi Dudu, poi Yves, infine tocca a Ebenia immortalarci. Quest’ultimo l’ho conosciuto soltanto oggi, ha un fratellino di 9 mesi di nome Innociance.

Somigliano a qualcuno che conosco, ma lì per lì non riesco proprio a connettere. La mamma dei due piccini mi chiede di fare una foto a tutti i ragazzi insieme, spostando di peso anche il leggerissimo Innociance e mettendolo a sedere sul bordo del lavabo in mezzo ai fanciulli. Nicolà stabilisce la posa adatta per ognuno e poi partono gli scatti. Riporto il piccolo tra le braccia della mamma e tra una chiacchera e l’altra viene fuori che i due sono, niente popo’ di meno che
i figli di Jojo. “No, mi scusi, ma quindi lei è sua moglie?”. Ennesima perla da aggiungere alla mia rubrica di domande idiote fatte nella vita.

Inutile dire che mi onora fare la loro conoscenza, sono già molto affezionato al mio paziente e gentilissimo maestro di francese, dunque incontrare la sua famiglia mi riempie di gioia. Sono le 10.20 e Godyene mi attende sulla soglia… saluti di commiato a tutti e le corro incontro scusandomi per essere il solito pirla che chiude tutto senza mai lasciarle le chiavi! Alle 11.30, facciamo 11.45, parte la riunione settimanale con i miei corrispondenti italiani. La cosa ha tenuto impegnato il sottoscritto, suor Nicole, Sophie e Marcelin fino alle 13. Cottura a fuoco lento.

Dopo pranzo sono carico, ho addirittura la forza di saltare il riposino, vorrei fare un po’ di sport con i pivelli. Giungo alla porta celeste, ingresso della casa di Godyene, in cerca della mia adorata Soumaya. Nessun segno di vita. Attenderò che pianga e seguirò i lamenti acutissimi. In compenso trovo a casa di Moses, lui, Manassè e Michel intenti a ballare e strimpellare una pianola giapponese. Nessuno sa suonare ma ci si inventa ad orecchio. Moses estrae da un sacco di iuta tre skate boards. Michel attacca le casse al cellulare e fa partire della tamarrissima trap africana,
io e Manassè cominciamo a skaetare in mezzo alla stanzetta senza grandi risultati, ma preservandoci intatti. Ci raggiunge poi anche il fratellino di Marcelin, ma le visite non finiscono qui.

Sento una vocina felina urlare di capricci. Chiamo: “Soumaya!“. Mi arriva una risposta rapida come un dardo indiano: “OUI!”. Esco e la trovo tra le braccia di Margherit. Con lei ci sono anche Noa, il piccolo Alois e Brenda. La stanza, già normalmente stretta per 4 persone, si riempie fino all’orlo.
Noa è un piccolo bandito su ruote, si abbassa i calzoni e a culo nudo, sul grip della tavola, tenta percorsi improbabili.
Lo invito ad sistemarsi. Obbedisce mansueto: un momento di perfezione durato tre secondi! Il tempo esatto in cui gli indecenti pantaloni gli sono scesi nuovamente ai ginocchi. Poco importa, il piccolo pirata ha solo la spudoratezza e la giusta dose di incoscienza adatte ad imparare l’arte della tavola ruotata. Tra un trick e l’altro si fanno le 16.

Margherit accorre a chiamarmi: c’è qualcuno alla mia porta. Corro. Matacon è lì seduto sul terzo scalino, a testa bassa, quieto come di suo solito. Lo saluto. Comincio la solita conversazione a senso unico in cui io domando e lui risponde “No, niente” a qualsiasi cosa. Poi mi dice che desidererebbe avere un sacchetto pieno di camicie. Ne ho infilate solo
un paio in valigia ma, desolato, di piccoli Matacon ce ne staranno 3 o 4 in una. Posso offrirgli delle banane!
 Accetta di buon grado.

Manassè arriva nel mentre, deve andare alla piccola boutique all’incrocio di Marza, poco lontano dal centro. Saluto il mio piccolo amico e lo accompagno.
Sulla strada incontriamo parecchia gente, Friederich, Gedeo, alcuni amici di Manassè. C’è un bel movimento. Il vento solleva la polvere rossa. Una partita di pallone nel cortile della scuola pubblica contribuisce alla tempesta di terra. Molti al mio passaggio sussurrano: NASSARA! Mettendosi una mano davanti alla bocca per non farsi notare troppo.
Nonostante ormai sia notoria la mia presenza qui, la vista di un bianco suscita ancora scalpore.

Se dipendesse soltanto dal colore del suolo, penserei di essere atterrato su Marte. Un gruppo di braccianti prepara la paglia per la fabbricazione dei tipici tetti delle capanne.
Il mio giovane amico mi spiega che a dispetto delle apparenze, quando uno di quelli viene arrangiato in modo corretto, la paglia non solo resiste alla stagione delle piogge, ma è anche sufficiente a garantire l’impermeabilità
del soffitto. Sono molto affascinato dal loro trafficare. Compongono coni molto spessi e ad uno ad uno li appoggiano verticalmente sul tronco di un grande mango situato proprio nel mezzo della piazzola. Ecco che da Marte, in un lampo, mi ritrovo dentro a un quadro di Monet.

Non faccio in tempo a rientrare che ho già un altro appuntamento.
Godyene ci tiene a mostrarmi il piccolo pezzo di terra che suor Nicole ha affidato alle sue cure. Camminiamo alle prime luci del tramonto, su un viottolo nella savana che attraversa campi di moringa e di artemisia. Davanti a noi colline e piccole montagne. Là, proprio nella direzione indicata dal dito della mia amica, oltre a quell’altipiano c’è un piccolo lago vulcanico. Una domenica potremmo andare insieme con Manassè e gli altri a fare una passeggiata nei dintorni.
Questa sì che è un’idea. Mozione approvata!

L’appezzamento è di dimensioni discrete considerando che se ne deve occupare una sola persona. Sarà circa mezzo ettaro. A sentire i suoi progetti, non dubito che la grande Godyene possa eseguire un lavoro eccellente, se mai le servisse un bracciante apprendista, sa dove trovarmi!
Domani mi aspetta un’altra giornata di ritiro alla Maison di Yves Plumey, dunque, vorrei accordarmi con le ragazze per percorrere nuovamente la strada insieme.

Corro alla grande casa rosa. Bussa stranamente alla porta anche Manassè, ha delle cose da consegnare a Claris. Il comportamento del cellulare africano del mio altissimo amico mi da da pensare. Ogni volta che lo accende è costretto a reimpostarne l’ora. Tuttavia in memoria ha più di 1.200 canzoni che fanno proprio al caso nostro.
Mentre le ragazze cantano a perdifiato le hit pop e trap africane e internazionali del momento, io perdo tempo importunandole come meglio posso.

Rubo gli occhiali da sole di Rose e mi metto in posa come un bischero suscitando l’ilarità generale. Afferro lo specchio di Marie e inizio a puntarlo a pochi centimetri dal naso di tutti quelli che mi capitano a tiro. Ho voglia di fare il pagliaccio. La cosa, chissà perchè, mi viene abbastanza naturale (mi spiace solo per la mia famiglia che si ritrova un clown in casa, se state leggendo, mi scuso!)
Rubo il cappellino rosa dell’altra Marie e me lo incastro in testa girato al contrario. Il termine “incastro” non è casuale, infatti il copricapo sarà di almeno due taglie più piccolo rispetto al diametro della mia zucca, l’effetto visivo distorce maldestramente le proporzioni facendomi apparire ancora più buffo. Sono un demente, almeno lo ammetto!

Manassè mi rivela di non saper giocare a Sarakè. Stupenda notizia. Finalmente posso battere un africano a questo gioco. Prima però mi impegno ad insegnargli i rudimenti. Un conto è vincere a tavolino, un altro è vincere facile. Cerchiamo di preservare un minimo di dignità, ammesso che questo sia ancora possibile per me. Dubito.
Giunge l’ora della preghiera e mentre intoniamo un magnifico canto accompagnato da tre parti percussive differenti, Claris e Sophie rientrano dal mercato.

Grandi notizie! Con i soldi che la fondazione ha inviato per sostenere gli studi delle mie dilette oggi sono stati acquistati libri, penne, matite, calcolatrici, quaderni e persino un paio di compassi! Si apre il grande scatolone, Claris chiama le studentesse una ad una e distribuisce, a seconda dei loro bisogni, i preziosi oggetti. Chi ha già una bic, non ha diritto ad averne un’altra fino a che la propria non sia completamente terminata. Chi ha già la calcolatrice, conviene che se la
tenga stretta, perché non ne avrà mai una nuova. Josephine riceve un grosso libro di matematica, fresco di stampa. Le servirà per l’anno corrente e quello prossimo.
Clarissa invece ha ricevuto un tomo di biologia di almeno 1 chilo e mezzo. Le sue amiche le augurano ironicamente buona fortuna.

Vietato scrivere a penna il nome dentro ai volumi, verrà applicato il timbro del centro, chiaro il messaggio? L’obbiettivo è utilizzarli anche per gli anni successivi quanto più possibile, una versione africana del “Libraccio”. Essenziale da queste parti. L’atmosfera di festa viene rovinata da un evento…

Ogni sera quattro donzelle a turno sono destinate ad occuparsi della cucina. Il sabato è il giorno in cui le piccole donne sono a casa da scuola e hanno, se così si può dire, meno impegni. E’ buona norma quindi, avendo tempo, disporre i fuochi a legna in cortile e preparare in anticipo la cena senza usare la bombola del gas. Non sembra, ma a lungo andare, questa prassi genera un buon risparmio al centro. Sta sera alle addette in carica questa regola aurea è sfuggita di mente. Claris non ammette discussioni. Niente gas per un mese.

Statuito ciò spedisce le sfortunate smemorate ai fornelli per occuparsi del desinare. Manssè deve fuggire, io resto. La severa misura disciplinare indispone un po’ tutti, Claris stessa non vive bene la cosa. Per rimediare a questo sabato sera malriuscito accorda loro il permesso di guardare la tv. Sì perché, nonostante sia stata installata venerdì, nessuna ha ancora avuto il piacere/dispiacere di schiacciare il tasto on. Le cose vanno così, qui non ci si può permettere di dare per scontato qualche dettaglio. Nulla è dovuto. Non bastano gratitudine e riconoscenza, per guadagnarsi qualcosa è fondamentale il sacrificio!

Mi auguro vivamente che i palinsesti da queste parti siano miracolosamente migliori dei nostri. Dopo tutta sta fatica, minimo hanno diritto a un film come si deve.
Tenete presente che molte di loro non hanno quasi mai visto la tv, o comunque non hanno mai avuto la possibilità di abituarcisi. Di questi oggetti, in tutto il centro ce ne sono due e a “beneficiarne” sono circa una ventina, su 50 residenti.

Solo ora mi rendo conto che non mi piazzo davanti ad uno schermo diverso da quello del mio pc da prima di partire. Mi fa quasi effetto. Come se, inconsapevolmente, mi fossi disintossicato un po’ da un qualcosa che non pensavo fosse nocivo.
Ammetto di essere anche un po’ suggestionato dal fatto che le ragazze hanno scelto una serie tv intitolata “Le P del Peccato”, ossia una specie di “Cento vetrine” 100% made in africa. Prima di andarmene voglio proprio veder di che si tratta. Sono del parere che anche il trash, a modo suo, vada studiato di tanto in tanto, quale specchio di una realtà sempre più frivola e priva di contenuti.

ALT, taglio immediatamente il mio disprezzo per la società contemporanea.
Diamogli una chance. La prima scena vede due uomini entrare in una piccola stanza in cui ad accoglierli si trova seduto un terzo uomo sulla sinistra.
Uno dei due, non scherzo, si siede sul letto e si tira su la maglietta a metà per mostrare l’addome morbido ma non flaccido. Scoppio a ridere.
Non riesco a vedere la ragione di un gesto del genere. Le piccole donne mi spiegano che è una mossa per ingolosire le spettatrici. Pazzesco.

L’autenticità dell’azione, probabilmente improvvisata, è disarmante, i tre nel dubbio si rollano una canna. Bene ragazze, questo è ciò che la televisione vi riserva a tutta prima, pensate in avvenire cosa vi aspetta.
Chiariamoci. Non intendo fare il moralista de noartri. Trovo solo un po’ ironico constatare che il primo messaggio passato attraverso uno strumento di evasione, quale la tv, sia la pratica di un altro rituale avente il medesimo fine.
Non è che a furia di fuggire dalla realtà si rischia di smarrirsi in troppe fantasie?
La butto lì, sperando di ricevere vostri feedback al riguardo.

Cambio di campo: ora abbiamo un litigio tra una donna apparentemente benestante e un giovane uomo belloccio dal taglio Hipster, capello con sfumatura
ai lati e barba lunga ma curata. Non capisco nulla di quello che dicono, il francese è velocissimo, la qualità audio della nostra tv  è made in China. Potete benissimo trarre le debite conclusioni.

La scena successiva vede il nostro Hipster seduto su un divano con tre birre da 66 sotto al naso. E’ depresso, la scenata lo ha intristito, afferra una bottiglia, beve un sorso male, gli va di traverso, la sputa, si sporca la camicia, la birra schiuma fuori dal collo del recipiente allagando tutto il pavimento, rutta. Torna a casa, non si regge in piedi, la sua bellissima ragazza lo attende sul divano e nel vederlo in quello stato spalanca le braccia come a dire: “e ora che gli prende?”. Gli va incontro per soccorrerlo, lui la spinge via molto malamente, poi cade in terra e comincia a fare dei versi che sembrano, ma ripeto l’audio è cinese, un misto tra dei grugniti e dei nitriti un po’ più acuti del normale. Galattico!

Cioè mi aspetto che Lori del Santo sbuchi fuori all’improvviso per edulcorare ulteriormente la potenza estetica della sceneggiatura, sapientemente scritta da una tizia che, nei titoli iniziali, non aveva manco il cognome: soggetto scritto da Anna, PUNTO. Brava davvero chiunque ella sia.

Vorrei avere quella leggerezza giovanile capace di farmi resistere per ore agli scempi di questo tipo di intrattenimento, ma purtroppo sono bambino e non adolescente, la mia soglia di attenzione ha una durata massima di qualche secondo.

Mi congedo al quarto grugnito/nitrito… a far niente ci si stanca parecchio!

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