20 gennaio – Apprendisti e naviganti

Adoro la sveglia delle 7 e 20. La adoro perché ormai il mio bioritmo è settato alle 6.

Quando spalanco gli occhi ho quindi ancora 1 ora e 20 minuti di cuscinetto davanti a me prima di affrontare la vita con la sua umanità.
Un intero periodo dedicato a godermi la dormi-veglia. Il tepore intimo del letto. Le luci dell’alba che fanno capolino dalla finestra socchiusa.

Questo si che è un inizio come si deve. Poi quei venti minuti lì fanno la differenza. Ma una differenza abissale proprio! Vuoi mettere? Con la sveglia delle 7 in punto non c’è gara.

Purtroppo però non solo i ritmi circadiani del mio corpo si avviano ad evolvere sui modelli di quelli degli anziani,
anche la mia vescica comincia a reclamare attenzioni in modo capriccioso! Sono appena le 6.20 quando, infatti, mi accorgo di avere l’imminente esigenza di fare pipì.
Penso di non essere l’unico ad aver superato le fase infantile del “piscialetto”, la mia è durata una settimana se non ricordo male.

Ecco sta mattina quell’idea non mi pare affatto così bambinesca, anzi…quasi quasi la mia pigrizia mi potrebbe spingere ad instaurare una tesi valida sul fatto che valga la pena risparmiare tempo prezioso evitando di muoversi fino al bagno, che, a dir il vero, sta a due passi dal materasso. Vorrei ricordarvi che il tempo è la risorsa più preziosa di cui disponiamo.
Da bambino ero molto più intelligente, gli adulti non mi hanno mai capito, probabilmente farsela sotto era un’altra delle mie trovate geniali incomprese!
Mi piacerebbe tanto argomentare delle tesi di etica e morale a sostegno di questa ipotesi ma… mi scappa davvero troppo!

6.30, mi alzo, espello, tiro l’acqua, Molly sbuca da sotto il bordo del water, annaspa travolta dalle cascate dello sciacquone, inizio ad imprecarle contro come se potesse ascoltarmi: “ma anche tu proprio nel cesso ti devi infilare? Non lo hai capito che questa stanza è tua? Puoi stare dove vuoi basta che mi mangi le zanzare, possibile che te ne debba sempre stare rintanata negli anfratti peggiori rischiando la morte? E adesso se fosse la fine eh? Se mi anneghi nella tazza?
Anni di Baywatch sono serviti a molte cose nella mia adolescenza, ma purtroppo ancora non so fare massaggi cardiaci alle ranocchie! Vedi di uscirne!

Giurerei che con quegli occhi spiritati da imbecillona mi abbia guardato male mentre era intenta a cercare attrito sulle pareti di ceramica dell’imbuto frapposto tra la sua vita e l’oblio. Balzello numero uno, balzello numero due…INUTILE!
La mia coinquilina non ascolta. Esce dalla toilette e si infila sotto al cassone dello scarico. Fa orecchie da mercante! Peggio per lei!

6.32. Ho appena visto una rana in procinto di morire e ci ho litigato. Sapete cosa? Non ho più sonno. Mi sdraio e carrello di pollice sui social network, tanto per fare l’europeo. 7.20 non c’è bisogno di strillare, mi alzo. A colazione vorrei qualcosa tipo un caffè ma questo implicherebbe aprire la bombola del gas, preparare la macchinetta, godermi il liquido stupendo sulla veranda per poi però dovermi lavare la tazza. FOSSI MATTO!

Azzanno un pezzo di pane, comodo, facile, pronto all’uso, mi è avanzato del cetriolo sbucciato dal pranzo di ieri. Ottimo se non lo aveste mai gustato di prima mattina. Un buon bicchiere di succo d’ananas e curcuma, un sorso d’acqua, una banana. E’ ufficiale, sono vivo.

Ho appuntamento con Etienne alle 8.30, oggi finalmente inizierò a rimboccarmi le maniche!
Sono giunte delle nuove ragazze al centro e, prima di poter essere accolte nella casa delle piccole donne, occorre trovar loro dei letti da disporre nelle camere.
La nostra missione è recuperare materiali di riciclo e costruirne almeno tre. Vedo una moto con un ragazzo stracarico di assi sul porta bagagli sbirciando dalla mia finestra. Cinque minuti dopo arriva anche Etienne.

E’ stato preceduto però dalla piccola Soumaya che in posa con me, presta gratuitamente la sua immagine di top model per qualche selfie in amicizia. Di colpo la signorinella alza una gamba in stile Heater Parisi, a 180° rispetto al suolo, per poco non mi becco un piede in fronte. Abbiamo una futura ballerina o ginnasta a quanto pare! Buono a sapersi, la prossima volta che dobbiamo farci una foto mi metto il casco, prevenire è meglio che curare del resto.

Etienne mi mostra il mestiere. Lo si intuisce al volo, dai piccoli dettagli, che sa il fatto suo. Tiene sia il metro che la penna tra le dita della mano destra, lo fa scorrere sulle assi e intanto segna i punti in cui tagliare. E’ rapido, traccia le linee dritte, perfette, senza righello, prende le misure a occhio, tutte correttamente. Cerco di rubare quanto posso con lo sguardo, nonostante la velocità. Ma nel continente nero anche i migliori amano rallentare.

Il mio capo-mastro si sofferma sul tavolo da lavoro. Non lo soddisfa, è vecchio. Ha giusto un pezzo di legno che potrebbe ridargli nuova vita.
Stacca le assi del ripiano a colpi di martellate, si perde a cercare legnetti più piccoli adatti ad incastrarsi bene nelle fessure rimaste vacanti, solleva la tavola “nuova” (che avrà almeno 30 anni) e comincia ad inchiodare. 30 minuti buoni per avere un tavolino preciso su cui fare esattamente quello che avremmo potuto fare sull’altro. Ammetto però che, se c’è da martellare, ne vale sempre la pena, è troppo rilassante. La mia bic nelle sue mani fa la figura del cittadino in campagna.

La testa della sfera, abituata a morbida bianca cellulosa, è inizialmente contrariata e successivamente stremata dallo scorrere sul compensato. Niente a che vedere con la vita che fa la cancelleria da ufficio. Niente di personale cara bic, sono desolato. Prendiamo misure, decidiamo le altezze dei mobili, recuperiamo delle vecchie spalliere probabilmente
provenienti dalle attrezzature in disuso dell’ospedale. E’ tutto un tagliare, carteggiare, incollare e inchiodare.

Ripenso a quei giochi da bambino che facevo con mio padre. Hey, un momento! Adesso che rifletto lucidamente quando mi dava il rullo per imbiancare o il martello per sistemare la staccionata del giardino, quello era lavoro, in piena regola! Papà! Ma che è sto sfruttamento minorile! In un lampo ripenso alle tessere telefoniche con la pubblicità del telefono azzurro!

Anni 90, nostalgia canaglia!
Le barchette di giornale messe come un cappellino, il rullo piccolino apposta per me da intingere nella vernice, la zappa in miniatura per fare l’orto (mai usata) mentre mio padre si spaccava la schiena a vangare, quella volta in cui abbiamo costruito un canestro (terribilmente irregolare) solo perchè pensavo che Space Jam mi avesse cambiato la vita.
L’archetto di traforo per fabbricare una casetta al criceto, morto inspiegabilmente due giorni dopo la nostra prestazione artistica.

Eppure ricordo che, pigro da sempre, in quelle situazioni mio padre mi ci doveva trascinare.
Una volta messo in pista mi divertivo eh, ma la sola idea di “fare”, in generale, non mi ha mai entusiasmato.
Bizzarro quindi trovarmi in Africa, felice di potermi adoperare in qualsiasi cosa come un buon garzone, dal cucire un calzino a lavarmi i panni. Figuriamoci costruire letti.
Sarà vero che con il tempo si cambiano i gusti. Sarà possibile anche vincere la mia inettitudine? Spero di no, ma lo scopriremo solo vivendo.

Dando un taglio a questa flebo di glucosio, si son fatte le 12. Non ce ne siamo accorti. I piedini sono tutti pronti, le traverse pure, se avessimo un trapano e che so, la corrente, potremmo terminare il lavoro entro domattina. Ma, come ormai avrete capito, siamo in Africa. Nessun progetto che si rispetti termina nei tempi prestabiliti.

Etienne mi congeda dicendo che riprenderemo alle 15.30. Ecco che alle 15.20 mi arriva un messaggio, sempre lui: “c’è troppo sole, ci vediamo domattina alle 8”. Suppongo sapesse anche prima che al pomeriggio fa caldo nella fascia equatoriale, è nato qua! Mi sa un po’ di scusa. E sia, vada per domani.

Che fare?

Le ossa per i cani cominciano ad accumularsi ma in giro non se ne vede nessuno. Non sono certo di aver inviato correttamente tutte le fotografie delle ragazze. Meglio andarle a trovare per ricapitolare e farmi stracciare a Sarakè. Approdo verso le 16 alla “maison” e le ritrovo sul viale rientranti da scuola. Laeticia ha deciso di umiliarmi battendomi 3 a 0. Mi consolano, probabilmente, se mai qualcuno in Italia volesse giocare con me, sarei il bianco più forte
in questa disciplina. Sono sempre molto indulgenti, faccio pena.

Aisha tira fuori il suo diario e mi mostra tante foto di tutti coloro che negli anni sono passati da Marza, poi la sua famiglia. Qui va ancora di moda attaccare le fotografie alle pagine, ricamarle con greche fatte attraverso l’uso delle penne colorate, segnare la data, l’ora, magari anche una dedica. Infilare un fiore o un quadrifoglio tra un giorno e l’altro per conservare il profumo. La mia indole nostalgica è toccata alla vista di queste usanze retrò. Ognuna di loro ha il proprio. Chissà se in qualche foglio figurerà anche il mio nome. Tra tanti scatti digitali, in mano non mi resta nulla, ma nel dubbio vola qualche selfie.

E’ il caso di procurarmi una macchina fotografica analogica, magari qualcuno mi insegna a sviluppare!
Vorrei regalare loro foto di noi tutti insieme per riempire quanto più i quaderni di ciascuna.
E’ la volta della galleria del mio smartphone che, davanti a tutta questo analogico, non mi pare più molto smart.

Racconto dell’Italia, delle montagne vicino a casa, mi chiedono che rumore faccia la neve sotto la suola di scarpe.
Non l’hanno mai vista in vita loro e vorrebbero tanto toccarla. “Ed il mare com’è? E’ freddo?” Qualcuna prova un brivido lungo la schiena. Rimangono affascinate dai posti, dai colori del cielo, dalla panoramica del lago di Como dall’angolazione (sempre meravigliosa) che si ammira in cima al Bollettone.

Ma come venire in Italia? Con quali soldi? Tornerò a mostrar loro nuove foto? Tanti prima di me hanno promesso molte cose ma non si sono più visti.
Come tutti i bambini, anche io detesto le promesse, soprattutto quelle da marinaio.
Ciò che ferisce è la delusione data dall’aver creduto ad una bugia (bianca).

Il disappunto che deriva da tante buone intenzioni rimaste tali, mai mutate in qualcosa di più concreto.
Anche questo è tipico degli adulti. I bambini si esprimono esternando i loro pensieri, senza troppi filtri. I grandi, invece, molte volte, tergiversano.
Tutto questo per dire che i bimbi sono molto più in gamba dei grandi (spesso incapaci di comprenderli) e che, quindi, quando me la facevo sotto nel letto da piccolo ero un genio! Mi pare OVVIO!

Spiego loro che in questo caso, preferirei non pronunciarmi. Il tempo ci dirà se e cosa farò!
Posso permettermi di espormi solo così: di sicuro, al momento del ritorno, la nostra separazione mi farà soffrire. Purtroppo o per fortuna non so ancora nè come nè quanto.

Alle 19 scatta l’ora della preghiera. Ci riuniamo in cerchio, come al solito, seduti sul gradino adiacente al cortile interno, anche sta sera si levano alti i cori delle splendide canzoni e i battiti sincopati dei nostri palmi di mano.

Fossi un marinaio, a quest’Africa farei mille promesse.

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