17 gennaio – Animalisti sconvinti

Sveglia alle 7.20. Prima di dare inizio alla mia vestizione ante-messa mi reco al gabinetto per sciacquarmi il grugno ancora patinato di sonno. Un’abitudine che mi porto dietro da tutta la vita.

Ammesso che ci sia… l’acqua. Non faccio in tempo a girare il pomello del rubinetto che vengo sorpreso contemporaneamente da due eventi di differente rilevanza, punto primo: ABEMUS AQUAM! Il che è stato lì per lì consolatorio (ma solo lì per lì, dato che alle 7.40 già non se ne vedeva più manco l’ombra di una goccia (addio ai buoni propositi di lavare i panni o far la doccia). Punto secondo: MOLLY! Ebbene si la mia ranocchietta amica, guardiana anti zanzare è riapparsa dallo sfintere del lavandino causandomi un principio di angina-pectoris.

Sono contento che sia viva (ormai si chiama Molly e dunque, pur essendovi la remota possibilità che si tratti di un esemplare maschio, me ne frego) tuttavia normalmente appena svegliato non capisco proprio un bel niente
della vita in generale, figuriamoci se sono mentalmente pronto ad accogliere una visita a sorpresa direttamente dallo scolo del lavabo. Sono ancora in mutande, che diamine, dammi almeno il tempo di vestirmi! Ma le rane non bussano in genere? Un gracidio di avviso…NIENTE!

Riprendo le redini del mio cervello presumibilmente danneggiato dallo spavento in modo irreversibile e scatto un paio di foto. Sto imparando, grazie alla mia nuova amica, un numero illusionistico abbastanza buono.
Chiudo la porta del bagno, aspetto un minuto, pronuncio una formula magica a ca**o-de-cane (cit. altissima, spero per voi la riconosciate tutti) riapro la porta e MAGIA: Molly non c’è più e non c’è manco verso di ritrovarla.

Si paleserà al cospetto di noi comuni primati a tempo debito, quando lo riterrà opportuno.
Vedi tu se mi devo accorciare gli anni di vita per i balzi randomici di una ranocchia… lasciamo perdere!
Prima di uscire mi do una lucidata alle scarpe, ancora piene di terra rossa dalla marcia di ieri. Lindo e pulito mi dirigo verso l’edificio.

Noi tutti ci aspettiamo padre Serge con uno dei suoi sermoni accattivanti alla James Brown. Mai credere alle promesse dei marinai, figuriamoci ai programmi degli africani. Padre Alois smonta ogni argomentazione possibile riguardo alla cerimonia; non solo sarà lui a predicare, ma avrà anche la sbadata destrezza di cannare il programma seguendo le letture destinate alla settimana successiva. Non ho altro da aggiungere amici… Oh forse sì.

Accanto a me c’è seduta una giovane madre con un bimba che supera il concetto stesso di sofficità. Un fagottino cuoricioso di amore su gambe, stra pieno di codini colorati in testa. Mi giro per sorriderle teneramente,
il mio sguardo si perde nei dettagli dell’acconciatura iper strutturata per domare le ribelli ciocche afro, scendo giù verso le guanciotte di cioccolato fondente appena colate da una tazza fumante di Ciobar, mi scatta a mo’ di juke-box il jingle della pubblicità nella testa, a riprova del fatto che io sia ormai del tutto rimbambito e solo allora, nel momento stesso in cui constato la mia imbecillità mi accorgo (saranno passati 10-15 secondi) che all’estremità della boccuccia di ciliegia
della piccola c’è attaccato un bel seno nero.

E’ andata proprio come ve la state immaginando. Ho la sensazione che da fuori la scena sia apparsa così:
l’uomo bianco non solo aspirante pedofilo, ma pure pervertito, lì a mangiare con gli occhi i seni materni. Schifoso! Viscido! Porco!

Mi sale la temperatura a 45 gradi Celsius e mi giro di scatto sulla destra fissando i pannelli di legno del soffitto. Il movimento del collo è più meccanico di quelli che si vedono compiere ai pupazzi degli orologi a cucù tedeschi avete presente? Forse no, ed è un bene!

Non contento, dubitante di essere davvero pirla, mi rigiro a fissarmi le mani e un attimo dopo involontariamente ci ricasco (la metà dei miei amici non crederanno all’avverbio “involontariamente” qui utilizzato, ma parola mia, non intendevo davvero mettermi a sbirciare). Altro movimento di scatto, talmente rigido e legnoso che tra un po’ mi si stacca un tendine da qualche parte. Ho passato i restanti 120 minuti a fissare o il soffitto o le finestre delle pareti del lato destro della chiesa.

Nicolà è profondamente deluso dal mio comportamento, oggi ho giocato poco con lui.
Desolato amico mio, troppo imbarazzo per tentare qualunque altro movimento, con il terrore di avere già la temibile polizia africana alle calcagna munita di mandato di arresto per molestie sessuali, mi dirigo quanto più velocemente possibile a Villa Banane. Nome che ho appena stabilito per la mia dimora, degno di un molestatore.

Godyene mi ha preparato il riso con la carne al sugo!
Adoro combinare le basi neutre con le salse. Poi i chicchi cucinati alla maniera della mia prodigiosa amica assumono una consistenza ultra leggera che non saprei ben spiegare… Penso sia fondamentale il passaggio in acqua fredda prima di buttare il cereale a bollire.
Il mio riposino pomeridiano viene posticipato dalla visita di Moses e Michel. I ragazzi sono andati a comprarmi l’acqua al mercato. Li faccio accomodare e offro loro da bere.

Tra una correzione di francese e l’altra mi confessano di non conoscere il loro paese di origine nè i loro genitori.
Di festeggiare il compleanno non se ne parla. Questa è una cosa secondo me fenomenale dell’Africa. Qui la gente non sa con esatta precisione la propria età. Non scherzo!

Accade molto di frequente sentir rispondere alla domanda: “quanti anni hai?” repliche del tipo: “uhm, non saprei, circa 7 o 8”, oppure ancora “non me lo ricordo!”. Sì perchè non è che il tempo sia un fatto importante, ne hanno talmente tanto a disposizione da darlo per scontato, forse.
O forse sono più intenti a celebrare la vita intera piuttosto che a festeggiare poche ore all’anno il giorno della propria nascita.

Qui c’è modo di dedicarsi all’osservazione dei tramonti, alle lunghe attese, alle gioie di raggiungere un risultato dopo aver tanto aspettato. Il ritardo agli appuntamenti è automatico, anzichè essere qualcosa per cui farsi il sangue amaro. Non dico che sia più o meno giusto…è diverso.

Poi Michel mi spiazza con quattro parole di inglese piazzate come le fondamenta di un grattacielo in cemento armato: “I just find myself here!” Come a dire: “so solo che esisto, nient’altro!” Allora si arriva a parlare di religione, dell’esistenza di Dio, fino alla constatazione che, per quanto a noi nascosta, deve pur esserci una ragione che spieghi, non avendone fatto richiesta alcuna, la nostra esistenza.

I ragazzi ne sono convinti. Moses vuole fare il giornalista e Michel il pilota. Sanno entrambi che per vivere delle esperienze interessanti si deve affrontare la paura e viaggiare. Non vedono l’ora, glielo auguro di cuore e li invito a tornare quanto prima. Chissà che non ci si metta a scrivere una canzone rap bella potente che parli proprio di questi argomenti scomodi e difficili… Vedremo!

Godyene mi propone una passeggiata, deve incontrare un amico esperto di agronomia per chiedere qualche dritta riguardo ad alcuni suoi interessi, mi aggrego.
Joel è forte, ne sa a pacchi di coltivazione, terreni, sorgenti d’acqua, pozzi. Inoltre è simpatico. Seguendo i miei momentanei Virgilii scopro che a poca distanza dal centro c’è uno spiazzo fantastico. Calmo, immerso nel silenzio della savana; qualche casa intorno, un frigo della coca-cola piazzato sotto a un albero proprio come nelle réclame anni 80′, dei tavolini in pietra, altalene e giochi per i più piccoli e, infine, un chioschetto cilindrico dove sedersi per sorseggiare qualcosa di fresco all’ombra.

Nella mia fantasia pensavo inizialmente si trattasse di un luogo pubblico, uno spiazzo per i bimbi, quelle cose di lusso che vediamo normalmente nelle città europee dove esistono gli asili all’interno delle aziende. Invece, per quanto strutturato su tre edifici separati l’uno dall’altro  senza un’insegna, si tratta di un bar. E al bar, è proprio vero, si fanno gli incontri più disparati. Io ad esempio ho ribeccato Matacon! PROPRIO LUI!

Lo avverto: caso mai volesse passare a casa domani, avrei qualcosa da dargli. Posso redimermi!
I miei soci ordinano un succo, io invece ho la mia borraccia di acqua minerale. Il bambino porta le bottiglie, ci guarda e quanto più innocentemente possibile annuncia: “non abbiamo l’apri bottiglie!”
Come faremo? Fortunatamente, anche avendo saltato i boy-scout, i diversi anni di falò in spiaggia e sbronze in mezzo ai prati presenti sul mio curriculum vitae mi consentono di risolvere brillantemente l’impasse. Fossi stato un vero figo, le avrei aperte con i denti ma… la mamma mi ha sempre detto che il dentista costa caro, ergo chiedo una forchetta e divello i recipienti con il fare di un oste navigato.

Dopo un paio d’ore rientriamo e io sono in ritardo per la lezione con Jojo. 30 minuti che aspetta. Che figura da Nassara. No problem, recuperiamo domani come si deve, sa che alle 17 c’è il rosario e non vuole disturbarmi… ma noooo nessun disturbo!!! lo invito a restare. Niente… Ci ho provato.

Nel mentre Manassè rivela un nuovo aspetto della sua quieta personalità. L’ho sempre descritto come tranquillo, calmo, gentile. Lo è, infatti.
Ma al momento ha un pollo tra le mani.
Con un piede blocca le ali, con una mano tiene le zampe, con l’altra il coltello e zack! Mi sa che domani il menù è a base di volatili. La scena è cruenta,ma c’è poco da fare i moralisti, in questa parte del mondo si tratta di cibo di lusso, roba da ricchi, roba destinata ai Nassara e ai pochi adulti che lavorano.
I bambini il pollo lo gusteranno si e no una volta al mese, quando va bene.

Per quanto mi dispiaccia, nulla a che vedere con gli allevamenti intensivi e i problemi che affliggono il nostro pianeta. Qui parliamo di esigenza e necessità, non di superfluo. Mi sento scosso ma forse riesco a superare la cosa.
Come non detto, tre ragazzi tra gli 8 e i 10 anni si presentano al nostro cospetto. Mentre Jojo critica la tecnica ancora da affinare di Manassè, a detta sua, una tortura per la bestia (come dire che per la sua indole gentile il giovane non riesce ad essere crudo quanto basta ad uccidere) io osservo i nuovi venuti.

Uno ha un grosso martello in mano, l’altro un carriola con dentro un sacco di patate, il terzo porta un sacchetto di plastica. Guardo meglio… Non si tratta di un sacco di patate. Suor Nicole, giunta tra noi, tira uno schiaffo al fondo della confezione e di tutta risposta si sente grugnire.
Stanno per macellare un maialino.

“Occhei raga, è stato bello conoscervi, io vado a casa, ciaoooo!”. “Hai paura?” ridono. “No, è che mi dispiace!” Ridono di più.
Non me ne vogliate, farsi 6.600 km di aereo significa anche saper essere pronti a questo e molto altro.

Vado a dare da mangiare alla rana, buona notte!

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