17 febbraio – Quasi quasi mi faccio uno scalpoo

Pur non avendo nulla in agenda, come ben sapete, volendo tentare il dialogo con il Lauan del villaggio, decido di mettermi in posizione eretta verso le 7.30.
E’ la prima volta che anticipo Christian al mattino. Sono sicuro che mi raggiungerà a breve. Approfitto per una carineria zuccherosa e melensa: metto su il caffè! Il gorgoglio della moca sveglierebbe anche un orso in letargo. Il mio grande amico non resiste al richiamo di quest’oro nero, le sue operose narici captano l’aroma tostato di robusta e arabica. Un minuto dopo odo uno sciacquone all’orizzonte. Si è ufficialmente alzato!
C’è da tornare a Mayamì, ho un campo pieno di piante da contare, una recinzione mezza rotta da fotografare e un Lauan da trovare. Solo ora mi rendo conto di avere un casino di roba da fare… altro che agenda vuota! In marcia. Stefania, così si chiama l’uomo che fa il guardiano alla nostra magione, è finalmente in abiti formali (anziché canottiera rossa e pantaloncini verdi con i quali ha vergogna a farsi fotografare), ho dunque l’autorizzazione a scattare un souvenir per il presidente, non sia mai che se ne dimentichi la faccia! E’ una piccola conquista, sono 3 giorni che cerco di immortalarlo, manco fosse Eva Herzigova. Mentre mi perdo in strane fantasie in cui al posto di un energumeno di nome Stefania, ho l’Herzigova a farmi da guardiana, Christian accende la “Ferrari”, siamo pronti per partire.

Lungo la strada, evitando le buche malefiche e ben mimetizzate tra i solchi di terra rossa, scorgiamo due donne nei loro abiti tradizionali marciare lentamente. Sono della tribù Masa. Non facciamo in tempo a superarle che il mio autista riconosce i lineamenti di una di loro. Accostiamo e scendiamo a salutare.
Le signore si piegano sulle ginocchia e restano accovacciate al suolo fino alla fine della conversazione. Qui al nord le donne hanno mantenuto quest’uso tradizionale, per rispetto dell’uomo, si siedono a mo di cova, mantenendo lo sguardo basso, verso il suolo arancio. Solo al momento dei saluti si rialzano, ma non prima che noi ci giriamo di spalle per raggiungere il mezzaccio. Christian mi dice che ad un occhio esterno una dinamica simile potrebbe sembrare discriminatoria, in realtà è qualcosa di antico e raro, un uso da preservare e tramandare. Io penso che sia andata un po’ così.

Giunti al campo iniziamo la conta. Parto dal perimetro della recinzione, cammino per un paio di ettari e finalmente giungo alla conclusione che ci servono circa 300 metri di rete metallica per completare il tutto. “Quanti sono invece i pali rotti?” domanda il buon Christian giustamente? Non li ho mica contati. Riparto al contrario come un cretino. Madame Beatrice guarda divertita. A ragion veduta direi!
Con qualche pasticcio qua e la riusciamo a raccogliere tutti i dati che ci servono. Noto con piacere che il piccolo cucciolo d’uomo, l’ultimo genito della signora, non molla per un secondo la gonnella della mamma e mi guarda minaccioso di sottecchi. Giustamente teme che il bianco possa comportarsi in modo riprovevole e non vuole lasciare la madre da sola. Ci pensa lui a proteggerla! Che ganzo, mi auguro solo che non si chiami Stefania! Lo dico per lui eh… o forse anche un po’ per la mia psiche.

Rientriamo in città e attendiamo il capo villaggio davanti al suo negozio. Quest’ultimo gestisce in fatti un piccolo banchetto in cui effettua la vendita di prodotti di cancelleria per gli studenti. Arriva trafelato a bordo di una moto. Ha saputo del pozzo della scuola primaria, ci ringrazia per aver fatto “muovere i morti”, così dice. Ovviamente se vogliamo occuparci noi delle spese non c’è problema eh, possiamo farlo benissimo. Strano! Quando c’è da pagare sono tutti molto cortesi nel batter cassa… davvero bizzarro! Altrimenti se vogliamo aspettare che il comune, prima o poi, agisca, è solo questione di tempo. Mi dimostro desolato nel pensare che i giovani africani, proprio nel picco della stagione secca, non abbiano accesso all’acqua potabile, è come se si trattasse dei miei figli in qualche modo. Indoro la pillola al Lauan che, d’accordo con me, mi assicura che, essendo a conoscenza della questione, farà in modo che il comune se ne occupi prontamente. Incrociamo le dita. Terremo d’occhio la struttura. 15 mila euro di pozzo, fermo e non funzionante a casa della mancanza di pezzi dal valor di poche centinaia di euro al massimo. Caso mai foste amanti dei paradossi, consiglio vivamente l’Africa, vi troverete di sicuro
a vostro agio quaggiù.

Lascio il boss ai suoi affari e chiedo al mio socio se conosce un barbiere in cui potermi finalmente tagliare quei 4 ridicoli peli che si ostinano a crescermi ai lati del cranio. No problem, mi scarrozza da un amico, all’ingresso ci sono 2 piccoli divani marroni sui quali accomodarsi nell’attesa.
Una parete nera in legno alta 50 cm divide l’anticamera d’attesa dal salone vero e proprio, di poco più largo. Due grosse ventole girano sul soffitto per smuovere l’aria fin troppo calda. Ogni tanto scorgo nel loro roteare un tremolio. Se dovessero staccarsi finirei come uno di quei mascalzoni che Xena, la principessa guerriera, decapitava malamente sotto agli occhi eccitati della sua compagna di merende (credo si chiamasse Olimpia). Per quanto l’idea di Xena e Olimpia insieme non mi dispiaccia affatto, morire senza testa non mi piacerebbe per niente. Mi manca il salone di Patrice a Ngaundéré, bello pulito e ordinato. Dal forno a microonde uno dei ragazzi estrae un panno umido con cui “lavare” la testa del cliente. Siamo a questi livelli. Finalmente giunge il mio turno. Raga qui devo aprire una parentesi descrittiva attraverso la quale, del mio dolore, riderete tantissimo. Il parrucchiere è giovane, smilzo, due occhialoni da vista giganti coprono ciò che rimane del viso avvolto da una mascherina FFP2. “Zero ai lati, poco più corti sopra!”. Questa è quella che io chiamo la tecnica dei finti capelli. L’effetto dura due giorni, poi la piazza torna a mostrarsi nella sua esotica bellezza. Ma chi voglio prendere in giro? Fa ribrezzo!

Iniziamo. Prende la macchinetta e comincia a radermi. Tutto bene, tranne che, noto stranamente, non agisce sulle basette. Cioè dopo 10 secondi sono rasato ai bordi della testa a ho le basette folte a mezza guancia. Che roba è? Perché? Saprà di sicuro ciò che fa, magari quando mi fa la barba taglia anche quello, sarà sicuramente così.
Non dico nulla e attendo con pazienza, non vorrei mai offenderlo. Se mi azzardassi a parlare potrebbe pensare: “ecco è arrivato il bianco che crede che i parrucchieri neri rasano le teste lasciando le basette in stile Joe Cocker. Sti nassara bastardi malfidenti!” Storco il naso: “per carità, facesse il suo lavoro!”.
Comincia a cambiare diverse regolazioni e procede con un’ottima sfumatura. Sono soddisfatto, è bravo, non che ci voglia molto eh, se avessi il rasoio me li farei da solo… però è bravo, va detto. Sta cosa che le basette sono ancora lì non è che mi piaccia tanto però… anzi mi da proprio ai nervi, mi disturba, ma di brutto! Il ragazzo comincia a farmi la barba con la macchinetta per i capelli, evitando di tagliare le nefande superstiti pelose. No ma scherziamo?
Niente pennello? Niente schiuma? niente panno caldo… ah già quelli son nel microonde, tutto regolare. Mi fa anche malino, pesta giù pesante. Attenzione si avvicina alle basette. Si ferma. Sospiro. Cambia regolazione per l’ennesima volta e vedo che comincia lentamente a taglizzarle qua e là. Sta veramente pensando di regolarle?
Non ci posso credere. Son due baffi di pelo da 3 cm l’una, cosa vuoi mai creare? Ma taglia no? Non resisto, vado a gamba tesa in francese: “coupe-le!” replica “completamente?”. Annuisco ma è più un “ti prego” silenzioso e sofferto. Zac! “Ooooh! Mercì!”. Stavo male. Non solo in viso eh, stavo proprio andando al manicomio.
Si è offeso? Ma va dai, avrà capito! L’ho ringraziato 15 volte, più gentile di così… si ferma, prende una grossa spugna, tipo quelle che usavamo all’asilo per giocare con le tempere avete presente? Quelle spugnacce dure che graffiano una cifra! La tagliuzza in piccoli rettangolini. Sarà mica il momento di mettersi a colorare dico io? Afferra un pezzetto, lo cosparge di borotalco e comincia a tamponarmi le guance. Sembro un misto tra Robert Smith e Maria Callas prima dell’opera.
Apre un cassetto e impugna un rasoietto elettrico. Me lo passa sulle guance come se fossi un giardino inglese. Su e giù con una forza bruta maledetta. Con l’altra mano mi accarezza la pappagorgia per capire quanto è liscia e quanto ancora ha da lavorare. Soffro il solletico e non posso muovermi, sto diventando rosso. Ho una voglia di gridare assurda. Pausa, altra passata di talco. Cambio mezzo, torna su quella per capelli. Mi lascia un baffo più lungo dell’altro, adesso somiglio a Pablo Escobar appena uscito da un manicomio. L’asimmetria dei peli è il dito nella piaga, fa un male! A me piace normalmente andare dal barbiere. Non lo faccio mai perché ho i miei piccoli e adorati rituali domestici, raramente cedo alla tentazione.

Penso agli unguenti profumati, alla schiuma morbida, alla lama tagliente del rasoio passata sul cuoio e poi sulle gote con una delicatezza estrema. Quella sensazione adrenalinica che crea un legame tra te e l’uomo che sta dietro la sedia. Uno starnuto, un movimento brusco e potresti tagliarti la giugulare. Lo sai tu, lo sa lui ed entrambi volete la stessa cosa, salutarvi
alla fine del trattamento senza che ci scappi il morto. E’ un’adrenalina che ti scorre dentro, silenziosa, inconsapevole ma potente. E, secondo me, anche il barbiere ha la stessa magica percezione. E’ una professione artistica la sua, ha la mano di un chirurgo che non ha mai potuto iscriversi a medicina, è un nobile da sempre tra le classi meno agiate. La lirica, per tornare in tema, lo ha celebrato, i film di mafia lo hanno dipinto come assassino o uomo di fiducia assoluta, i rasoi di mio
nonno lo hanno incastonato nei ricordi più dolci della mia infanzia. Per me è molto più di un semplice professionista all’opera, è un mago, un illusionista.
Immaginate dunque il mio disappunto da vanti a tanta dis-grazia. Per non parlare della fatica che faccio a trattenere il dolore. Posa l’aggeggino elettrico, afferra una spazzola di quelle buone per lucidare le scarpe, durissime, quasi quanto le spugnette di ferro per scrostare le padelle. Me la passa fortissimo sulla zucca, la metà del cranio è bordeaux a causa della forte sollecitazione. E’ ufficiale, si è incazzato per la storia delle basette, per forza, altrimenti non si spiega. Mi versa un litro di una strana lozione arancione e di nuovo giù di spazzola. Apre il microonde e si mette tra le mani un panno
caldo con il quale mi “sciacqua” la crapa. Mi spruzza una pozione alcolica in faccia, ho i pori dilatati a causa delle manate che mi ha tirato prima. Un pizzicore fastidioso si dilata su tutto il grugno. Riprende un pezzo di spugna, borotalco e rasoio ancora. Ha finito? Macchè! Raga ho i capelli non più lunghi di 1 cm… mi ha messo la lacca, giuro! La lacca! Ma perchè? No, va beh, ci rinuncio. Prende una crema, non contento, me la spalma in faccia e comincia a massaggiarmi.
Nulla da dire, questo è parecchio piacevole. Mi avrà martoriato per quasi un’ora. Quant’è? 500 CFA. 80 centesimi! Tutto sto casino per 80 centesimi! Avrà speso più di materiali che di corrente, mi sento anche in colpa. E’ la tortura più subdola che abbia mai ricevuto. Dopo questa punizione sono riusciti anche a far leva sul mio tasto del dispiacere. Io mai mi darei tanto da fare per una somma simile. Usciamo dal negozio, non so bene dove mi trovo. Non ho più molte certezze dopo
l’esperienza estrema appena vissuta. Non che prima ne avessi chissà quante… se posso dirvi: non rompete il cazz* ai parrucchieri/barbieri, non fatelo mai, ovunque voi siate! Piuttosto acquistate un rasoio elettrico. E’ come se mi avessero fatto l’anestesia al cervello, di tanto in tanto mi tocco la fronte per vedere se c’è ancora. Torniamo a casa, meno male che Marlise ha preparato il pranzo. Couscous con verdure e carne.

Due ore di riposo e poi via verso la messa, oggi è mercoledì delle ceneri. La parrocchia del nostro quartiere è enorme. Una gigantesca chiesa a pianta circolare ci accoglie. Sul fondo campeggia il dipinto di un Cristo avvolto in una veste bianca e un drappo rosso, situato al centro di un sole imponente.
Attorno a lui sono raffigurati diversi episodi biblici. Nonostante le dimensioni (proprio vero che in Africa tutto è più grande…) i fedeli la riempiono in un attimo.
Anzi c’è talmente tanta gente che alcuni si procurano delle sedie per mettersi fuori ad ascoltarla.
Il prete comincia l’omelia, un uomo ripete dopo di lui. Strano non capisco cosa dice. Ho fatto tutta la cerimonia pensando di essere scemo, e infatti lo sono ma per ragioni diverse da quelle che credevo. Il tizio è un traduttore che parla in fufuldè alla folla, non tutti infatti conoscono il francese.
Io pensavo che nascere qui significasse parlarlo di default… pirla! Christian si alza, penso voglia chiamarmi per la comunione, rifiuto. Non mi confesso da 15 anni.
In effetti è strano però, pensavo la comunione l’avessero già fatta. Boh, già buono, dopo la rasata di oggi, se riesco ancora a pensare a qualcosa.
Talmente tanta gente vuole fare la comunione che devono intervenire le guardi di sicurezza per riordinare le file. Non scherzo, con tanto di gilet giallo, si alzano e compongono code ordinate. Più che in chiesa sembra di stare ad un concerto rock… altro che assembramenti. Buffo anche il fatto che così tanta gente voglia prendere l’ostia, sarà che in africa si muore di fame? Non comprendo!
Rientriamo e Christian mi domanda: “perché non hai voluto ricevere le ceneri?”. Già perché? Forse perché pensavo si trattasse della coda per l’ostia, che puntualmente, avevano già distribuito prima? Ma ho ascoltato la messa? Ci ho capito qualcosa almeno? Mi scuso con il mio grosso compare, sono irrecuperabile.
Marlise ci chiama per la cena, e io non ho affatto intenzione di perdermela!

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